...verso il

Partito Popolare Europeo

MAURIZIO EUFEMI

è stato eletto al Senato  nella XIV^ e XV^ legislatura

già Segretario della Presidenza del Senato

nella XVa Legislatura

ARTICOLI E comunicati 2021

Ricordi di quel dicembre 1971, quando prevalse Leone nella scelta per il Quirinale.

Articolo di Maurizio Eufemi apparso sulla rivista online "Il domani" del 17 dicembre 2021

Ricorda icasticamente l’autore che fino al “9 dicembre il candidato era Fanfani, il 21 dicembre divenne Leone”. In realtà, nelle votazioni interne al gruppo dei Grandi Elettori democristiani, la competizione si svolse tra il futuro Presidente della Repubblica e Moro. Su quest’ultimo pesava la pregiudiziale di quanti ritenevano troppo condizionata dal Pci la sua candidatura. Tuttavia, come ricorderà anni dopo Giorgio Amendola, l’unico a non chiedere nel 1971 l’appoggio dei comunisti fu proprio Moro.

 

L’intervista di Giancarlo Leone, ieri sul Mattino di Napoli, a proposito della elezione del padre Giovanni, già senatore a vita, a Presidente della Repubblica, mi ha fatto aprire il cassetto dei ricordi su quel dicembre del 1971. 

Posso dire di essere uno dei testimoni diretti. Partecipai infatti al rito della distruzione delle schede con le quali i grandi elettori della Dc avevano indicato alla delegazione composta da Forlani, Segretario Politico, i due presidenti dei gruppi camera e Senato, Andreotti e Spagnolli, e Benigno Zaccagnini presidente del Consiglio nazionale del partito, il nominativo del designato. Non doveva rimanere traccia del voto per non indebolire la candidatura, garantendo perciò unità e compattezza. 

Le schede di colore diverso tra Camera e Senato, tutte timbrate e vidimate dai componenti del seggio, dei 423 grandi elettori Dc, dopo  il voto espresso nella sala che sarà poi dedicata ad Aldo Moro al secondo piano, furono bruciate nella segreteria del Gruppo parlamentare al primo piano del Palazzo dei Gruppi in via Uffici del Vicario. Guidava le operazioni Luigi Salsedo, un napoletano di origine ma teutonico nel lavoro avendo sposato una bolzanina, mitico capo della segreteria del Gruppo insieme a Mario Salerno e al sottoscritto. In seguito ci saremmo dotati di macchine distruggi documenti, come avvenne per Cossiga nel 1995 e Scalfaro nel 1992, ma quella volta (si finì a notte inoltrata intorno alle tre del mattino) le schede furono bruciate a piccoli blocchi in un piccolo contenitore di metallo tenendo bene aperte le finestre per potere fare uscire il fumo, evitando che potessero scattare i dispositivi antincendio. Va detto che c’era un turno di notte dei commessi che ad orari prestabiliti faceva il giro degli uffici per marcare l’orario nei diversi ambienti e verificare lo stato dei luoghi. 

Giancarlo Leone ha fatto bene a ricordare la sua trepidazione. Ricordo che il fratello Mauro, già giovane docente universitario, venne al Gruppo e restò per molte ore nel salottino in attesa dei risultati degli incontri della delegazione. Non dimentichiamo che i figli di Leone erano cresciuti a Montecitorio e, raccontavano i commessi, da ragazzi andavano a giocare a pallone sulle terrazze. 

Ma veniamo alle questioni politiche. Durante la prima fase, quella della contrapposizione tra Fanfani e De Martino, pesarono i tentativi diretti ad incrinare l’unità della Dc. Fu pubblicata sull’Avanti la notizia che Scelba non avrebbe votato Moro come possibile candidato gradito alle sinistre, con conseguente rinuncia alla “opzione De Martino”. 

Mario Scelba  venne al Gruppo. Scrisse di suo pugno una smentita che chiese di far pubblicare sul Popolo, garantendo quella unità che fu poi mantenuta negli scrutini fino alla elezione. 

Andreotti rivelerà nel suo libro De prima Repubblica che il margine a favore di Leone “non fu  molto alto”. Giocarono a suo vantaggio la compattezza dei senatori e per taluni la preclusione verso Moro per la sponsorizzazione comunista.  Il 9 dicembre il candidato era Fanfani, il 21 dicembre divenne Leone. 

Se c’è un insegnamento da quelle vicende riguarda il metodo e le procedure, soprattutto quelle interne che erano granitiche in tutte le fasi. Elezioni interne a scrutinio segreto, mandato alla delegazione convocata in permanenza, riunione degli organi direttivi congiunti interni ai gruppi parlamentari, riunione della direzione. I grandi elettori venivano costantemente informati da circolari che venivano inviate nelle caselle dell’ufficio Postale al Piano dell’Aula. Tutte le regole erano rispettate. La democrazia interna della Dc non era un optional, ma un metodo! 

Per l’Azione

(Articolo apparso sul periodico www.democraticicristiani.com)

Non è soltanto un sottotitolo, ma qualcosa di più. È stata una rivista, un luogo di elaborazione culturale, è stato lo spazio anche critico dei giovani Dc, è stato il confronto intergenerazionale tra ex popolari e i nuovi fermenti della società civile; era un “crocevia affollato di gioventù che non  è mai stato uno spazio per trasmigrare, ma un vero e proprio pellegrinaggio alla ricerca del mondo nuovo’’

È oggi anche il riferimento per il nostro giornalino ad un preciso momento storico, quello del dopoguerra del novecento definito il “secolo delle riviste”. 

Per l’azione, come periodico dei giovani democristiani guidati da Franco Maria Malfatti, rientra tra queste. 

Dopo gli anni della limitazione della libertà, quando l’organo di divulgazione clandestino era La Punta diretto da Giorgio TUPINI (ne erano protagonisti i liceali del sant’Apollinare e del San Gabriele) che sospese le pubblicazioni nel giugno 1947 il dibattito si fece vivace, coinvolgendo il mondo cattolico nelle attività culturali, politiche e religiose, sia con la ripresa di tante pubblicazioni di tante riviste prima sospese, poi con la nascita di tanti nuovi quotidiani a Torino Firenze Napoli. 

Dopo Cronache Sociali di Lazzati, Fanfani, Dossetti e La Pira che dal 1947 al 1951 si poneva in modo critico rispetto alla linea del quotidiano ufficiale della Dc il Popolo, emergeva la contrapposizione tra la “democrazia governante” di De Gasperi con una gestione efficiente del potere  e la “democrazia partecipata” con il partito inteso come collegamento tra Governo e società civile. Sullo sfondo v’era la concezione del rapporto con il PCI, non di semplice contrapposizione ma, per i dossettiani, di competizione intellettuale e politica. 

In quel tempo nasceranno anche il settimanale La Discussione di De Gasperi e il quindicinale Concretezza di Giulio Andreotti. Su posizioni più articolate Tempo Nuovo, San Marco, Humanitas, Adesso,  orientato da don Primo Mazzolari e la Voce operaia di Rodano,  Ossicini e Felice Balbo. 

Se si pensa a Per l’Azione non si può non pensare a Bartolo Ciccardini che ne fu direttore nel periodo 1950-1952 prima di dirigere  Terza Generazione (1953-1954 e La Discussione (1969-1977)

Bartolo Ciccardini fece proprie le tesi di  Balbo. A scorrere i nomi di quelle vicende vengo i brividi. Gianni Baget Bozzo, Signorello, Franco Nobili, Ettore Ponti, Evangelisti, Scoppola, Donat Cattin Arnaldo Forlani Andreatta  giovanni Galloni, Ruffini, Ardigó, Morlino, leopoldo Elia, Franco Grassini ed tanti altri ancora.  Non si può non riandare con la memoria alla Comunità del Porcellino, alla Chiesa nuova, alle Sorelle Portoghesi, alla Congregazione dei Filippini, alla colonia  dei bresciani. 

Il leit motiv era la “dichiarata autonomia dal partito” con una linea politica spostata a sinistra. 

Il pensiero ci riporta al confronto intellettuale di quegli anni in cui la libertà di pensiero era più forte di qualsiasi compromesso. 

Bartolo Ciccardini ha voluto ricordare quando nonostante il Congresso di Venezia e il tentativo di pacificazione tra De Gasperi e Dossetti con Fanfani chiamato al ministero del lavoro, La Pira sottosegretario e Dossetti vicesegretario del Partito Cronache Sociali esce con una minuscola didascalia “soluzioni di fondo che non si lasciano catturare”. De Gasperi si irrita. Ci sono momenti di tensione anche artatamente alimentate. Tutto sembra precipitare. Quei momenti vengono vissuti da molti dei protagonisti al tavolo delle sorelle Portoghesi. 

Bartolo Ciccardini, assumendo la direzione di Per l’Azione, un titolo dolcemente leninista, scriverà di “avere pagato un prezzo a De Gasperi” . Per Bartolo i gruppi giovanili non dovevano essere una specificazione organizzativa bensì uno strumento cioè una funzione specifica per insegnare un metodo di formazione. Fa proprie le tesi del filosofo Balbo; nel frattempo un gruppo di giovani Cattolici comunisti torinesi nel travaglio  “dell’inveramento  del pci” scende a Roma in dissenso con il Partito;  una rottura che avvenne per usare le parole di Del

Noce perche “Non si è cattolici comunisti, ma comunisti perché cattolici,”. Felice Balbo cercherà di dare una nuova interpretazione del comunismo, sostituendo al materialismo dialettico una teoria dello sviluppo dell’essere, non più fondata sul contrasto fra tesi ed antitesi di Hegel, ma fondata sulla filosofia dell’essere di San Tommaso. Si intensifica in quella fase il dialogo con Terza generazione (dopo quella fascista e quella antifascista) e con quanto ruota intorno a quella rivista e alla influenza di padre Gino Del Bono. 

Andreotti nella sua biografia autorizzata di Massimo Franco ricorderà di avere visto due volte piangere De Gasperi e furono…lacrime dossettiane. 


Maurizio Eufemi
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Bibliografia 

 

All’insegna del Porcellino www.BartoloCiccardini.org

 

Il movimento giovanile Dc daDe Gasperi  a Fanfani, Andrea Montanari, Franco Angeli Editore  2017 ; 


Per l’Azione, Istituto Sturzo Digital, periodici ; 


Le riviste nel secondo dopoguerra, www.Treccani.It enciclopedia ; 


www.centrostudimalfatti.Eu

Geopolitica nell’Est europeo, un affresco di Alessandro Duce

 

Alessandro Duce, una vita per la politica estera tra Università di Parma e Parlamento. I suoi libri sono manuali di grande successo internazionale.

È un professore moderno. Utilizza il podcast per comunicare le sue riflessioni tematiche di politica estera in ogni angolo del mondo. Ne cito alcuni: “esercito europeo e autonomia strategica”;  “la geopolitica dei canali”, “il canale di Kiel”;  “un missile ipersonico da Pechino” o quello recentissimo sul “Trattato italo francese”.

Si tratta di uno strumento nuovo ed efficace perché la Rete diviene un servizio utile ad approfondire valorizzando la globalizzazione delle idee.

Ciò acquista un più forte significato perché la politica estera appare sempre più marginalizzata sui grandi quotidiani. Sono questioni che richiedono studi approfonditi e analisi penetranti che non possono essere semplificate come tende a fare l’informazione radiotelevisiva, che affronta la politica per “slogan” e questo è ancora più pericoloso nella politica estera.

Vi è un degrado non solo nella professione ma anche nei gruppi editoriali e solo  riviste specializzate riescono ad affrontare argomenti che vanno studiati.

Della situazione internazionale in particolare di quanto sta avvenendo in Ucraina parliamo con Alessandro Duce, che non è solo docente di politica internazionale ma è stato parlamentare della Repubblica nella decima legislatura. L’Ucraina vede al momento una contrapposizione tra alcuni Stati europei, Stati Uniti e Russia. L’oggetto del contendere è proprio l’Ucraina nel contesto delle relazioni europee.

 

Quale è la tua posizione rispetto al problema delle guerre invisibili e del contesto di autodeterminazione dei popoli, tutte questioni che riguardano implicitamente l’Ucraina?

La questione Ucraina vede una contrapposizione tra alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti e Russia.

Quale é l’oggetto del contendere? La posizione che l’Ucraina potrà e dovrà assumere nel contesto delle relazioni europee. Si tratta di una questione di sostanza. Nel momento in cui l’Ucraina nel 1991 attraverso un referendum scelse di uscire dall’Urss e di proclamarsi indipendente come altre ex repubbliche dell’Unione Sovietica, si pose immediatamente una questione delicata ossia la collocazione di questo Stato nel contesto europeo ed internazionale.

 

Perché è cosi importante e vissuta in maniera cosi pesante da parte russa e occidentale? 

Per capire cosa significhi per i russi, occorre tener presente la storia dell’Ucraina, che è stata da sempre una culla della Russia. I legami storici sono profondissimi, oltre quelli linguistici e culturali. Basti pensare quello che scrisse Gogol. Per venire ai problemi politici successivi a questa indipendenza. L’Ucraina non ha sempre avuto  al suo interno atteggiamenti coerenti e chiari; ha avuto governi che guardavano verso Mosca e altri come quello attuale che guardano verso occidente. Negli ultimi tempi la situazione è andata peggiorando. Putin ha ritenuto che la esautorazione di un governo filorusso sia stata un atto di violenza di politica interna mentre da parte occidentale si è sottolineato il diritto alla  totale sovranità. Questa situazione è andata via via degenerando in due direzioni precise. Una rivolta interna di alcune regioni ucraine che hanno proclamato la loro indipendenza: alludo alle due regioni del Dombas e Luhansk, entrambe nella parte orientale, e lì si è accesa una guerra dal 2014 che ha portato a 15000 morti. Le forze secessioniste di queste regioni sono sostenute dai berretti verdi, volontari russi senza distintivi. Putin li disconosce perché dice che non sono forze armate russe. Contemporaneamente la Russia di Putin ha preso iniziativa con molte riserve in occidente. Come l’annessione della Crimea alla Russia,  che è stata sempre parte della repubblica russa anche all’origine quando c’erano tutte le repubbliche russe, donata da Nikita Krusciov nel ‘64 essendo lui ucraino. La reazione ucraina è stata che è stato tolto un pezzo di territorio e un’azione di forza che la Russia non doveva fare nel rispetto del trattato di Helsinki e delle regole Osce sull’uso della forza.

Da li le sanzioni verso la Russia avviate a livello europeo e da parte degli Stati Uniti.

 

Quali conseguenze ha comportato tutto questo?

La Crimea ha un collegamento terrestre con l’Ucraina, Collegamento che è stato subito bloccato. E di conseguenza, visto che arriva vicino alle frontiere della Crimea, la Russia ha attivato un ponte che è stato inaugurato due anni fa con il quale si può passare dalla Russia alla Crimea senza  dover passare dall’Ucraina. E questo apre un problema strategico che è al centro della crisi di cui stiamo parlando. Credo che l’obiettivo di Putin possa essere non quello di occupare tutta l’Ucraina ma  semplicemente di prendere atto dell’indipendenza di queste due regioni più un corridoio meridionale che lo porterebbe verso Odessa senza prendere Odessa ed avere un collegamento anche terrestre con la Crimea.

 

Di fronte a questa annessione l’Occidente cosa può fare, sta fermo oppure può reagire? 

Ora veniamo alle posizioni politiche. Quali sono le posizioni di Putin e di Biden di fronte a queste emergenze? Entrambi  si sono parlati e questo è già un aspetto positivo perché vuol dire che la carta diplomatica è sul tavolo. Si gioca ancora e ci si parla. Quali sono le richieste di Mosca? Sono semplici e sintetizzabili. L’Ucraina non deve entrare nella Nato e non deve ospitare armamenti Nato. La seconda richiesta è di fare dell’Ucraina una realtà cuscinetto. Non solo politico come la Bielorussia, quindi non legato alla UE da interessi economici e alla NATO e ciò potrebbe rappresentare una esperienza nuova.

Questa richiesta mette in discussione la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. A tal proposito Mosca chiede che venga rispettato l’accordo del 2015. Il cosiddetto patto a 4 fra Russia, Francia, Germania e Ucraina.

 

L’accordo a 4 firmato a Minsk. Cosa prevedeva?

Prevedeva la concessione di una sorta di autonomia a queste due regioni come l’Italia ha fatto con l’Alto Adige, che il Parlamento ucraino non ha mai attuato sia perché sono continuati gli scontri militari lungo la linea calda fra queste regioni e il resto dell’ucraina sia perché i nazionalisti ucraini non ne vogliono sapere di dare l’autonomia a queste due regioni, chiedendo prima il rispetto dell’accordo di Minsk.

Putin quando si rende disponibile a questo incontro con Biden rinuncia a questa prospettiva a 4 e mette sul tavolo quella a due, un accordo bilaterale per riprendere un dialogo strategico che riconosce la Russia come grande potenza nei giochi internazionali.

Putin che discorso fa con Biden, come lo imposta?

C’è un aspetto politico meno noto. Putin mette sul tavolo un argomento che non è stato ripreso perché la gente non segue, non legge. In occasione della crisi di Cuba dell’ottobre 1962 questa era uno Stato indipendente e sovrano sotto il regime di Castro e non confinava neanche con gli Stati Uniti perché c’era un braccio di mare. Gli Stati Uniti dissero: noi non possiamo accettare che ci siano missili nucleari adeguati ad un’azione offensiva fino all’interno degli Stati Uniti. Alla fine Krusciov ha accettato di ritirarli anche se Cuba era uno Stato sovrano. Allo stesso modo Putin dice: voi dovete capire che per noi l’Ucraina armata è un pericolo.Dovete accettare che l’Ucraina non entri nella NATO e non installi armamenti di questo tipo. Ricambiate in Ucraina quello che ha fatto Krusciov a Cuba.

Quello che fece Kennedy viene riproposto da Putin?

Esattamente questo. Guardando all’aspetto geopolitico bisogna tenere presente che a differenza di altre Regioni l’Ucraina si incunea profondamente in Russia.

Putin il luglio scorso ha presentato uno scritto che non è stato ripreso in Italia sull’unità storica tra Russi e Ucraini in cui si rappresenta la storia fra i due popoli, la dipendenza energetica, le tradizioni, la letteratura. Si tratterebbe per lui di una eredità indivisibile.

L’Unione Europea che può fare, come può agire? 

I Paesi dell’Unione europea hanno posizioni diverse nei confronti sia della Russia sia del problema ucraino. Ci sono i Paesi baltici ed altri Paesi  che hanno al loro interno importanti minoranze russe, i quali temono che cosi come è stato fatto con la Crimea e queste due regioni un domani la Russia possa farlo anche nei loro confronti. Poi ci sono Polonia e Romania che hanno avuto insediamenti sia di carattere radaristico sia missilistico da parte della Nato che ha mandato su tutte le furie Putin (“a cosa serve avere armamenti puntati contro di noi se noi non vi minacciamo”). Dalla Nato  sono stati giustificati come mezzi contro il terrorismo.

E gli altri Paesi come hanno reagito?

Gli altri paesi hanno approvato sanzioni dopo l’attacco alla Crimea. Al momento noi stiamo aspettando di sapere cosa deciderà la commissione europea. Starebbe mettendo a punto un piano per respingere le pressioni e le coercizioni  nei confronti di uno Stato terzo da parte di un’altra potenza. Stanno esaminando quali potrebbero essere le reazioni in caso di pressioni da parte della Russia  nei confronti di altri Stati e nella fattispecie dell’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno precisato che non sarebbe accettata un’iniziativa militare nei confronti dell’Ucraina e nel caso avvenisse Biden ha detto che sarebbero adottate misure adeguate non l’invio di truppe, ma forniture di armamenti per rafforzare le difese ucraine.

Ci sono diverse opinioni a questo riguardo?

Secondo alcuni analisti, questa operazione contro l’Ucraina ammassamento delle truppe ecc. sia da mettere in relazione alle pressioni cinesi su Taiwan. Per cui i due Paesi avrebbero trovato un accordo che i russi danno una zampata all’Ucraina limitatamente a quello che ho detto, i cinesi verranno a Taiwan per cui gli Stati Uniti si troverebbero in difficoltà a rispondere su due fronti.

Come se ne esce allora?

La principale misura sarebbe di escludere la Russia dal circuito SWIFT (sulle transazioni finanziarie) che comporterebbe conseguenze, come bloccare la convertibilità del rublo, sui finanziamenti per le società petrolifere compresa Gazprom e sulle banche di Stato russe, mantenendo inoperante il gasdotto North Stream che collega la Russia alla Germania, che è ultimato ma non è operativo. Sarebbe un doppio danno: alla Russia per i ricavi energetici e all’Europa per le forniture di gas.

Ci avviamo alla conclusione di questa lunga conversazione.  Non si possono affrontare questioni complesse di politica per slogan come riscontriamo nei media. Gli argomenti di Putin vanno studiati.  E sulla Polonia? L’immigrazione è un capitolo diverso e va affrontato separatamente. 

Non è stato forse un errore l’allargamento verso Est sia dell’Unione europea sia della Nato?

L’allargamento dell’Unione Europea è stato un errore perché c’è stata un’ apertura affrettata. Tutto è stato molto rapido così come per l’Euro. Tutti volevano essere ricordati nella Storia, ma con le aperture c’è stato un cocktail difficile da gestire. La Unione a 27 Stati ha problemi di funzionamento soprattutto se non si afferma in tutti gli Stati la divisione dei poteri; non si può accettare di camminare con chi schiaccia il potere giudiziario, legislativo che è fondamentale in un sistema democratico, altrimenti torniamo ai sistemi assolutistici e autocratici.

 Questa intervista di Maurizio Eufemi ad Alessandro Duce è stata tratta dal giornale online https://beemagazine.it/

Finanziaria a tempo di record in un Parlamento quasi esautorato.

La manovra di bilancio 2022 tra scadenze istituzionali e prospettive elettorali


La Sessione di bilancio ha preso avvio con la pronuncia del Presidente del Senato il 16 novembre scorso sul contenuto proprio del disegno di legge 2448 con lo stralcio di alcuni articoli riguardanti norme ordinamentali. I tempi sono stati inesorabilmente compressi dai ritardi tra l’approvazione in Consiglio dei Ministri dello scorso 28 ottobre e la presentazione in Parlamento.

I documenti sono completi nella forma della relazione tecnica e nella sostanza con la bollinatura a conferma della serietà del lavoro fatto dal Governo senza le disgustose e irritanti polemiche del passato verso la Ragioneria. Puntuale è la rappresentazione degli obiettivi e delle singole azioni. È articolata in 34 missioni e in 721 programmi di spesa suddividi in azioni.

La manovra di 199 articoli oltre quelli per gli stati di previsione dei dicasteri è accompagnata unicamente dal decreto fiscale 146 che definisce le misure per l’assegno universale e per i servizi e valorizzazione della famiglia insieme alla dotazione finanziaria per la riforma fiscale.

È su questo punto che le posizioni sono divergenti nella maggioranza e con le forze sindacali sul come destinare gli otto miliardi, le risorse disponibili per la riduzione della pressione fiscale con un triplice ventaglio di ipotesi: contenimento del cuneo fiscale, Irap, oppure rimodulazione della curva irpef con intervento sulle aliquote intermedie.

Non sono scelte facili nel trovare un equilibrio politico tra forze con visioni divergenti perché si ripropone il dilemma se privilegiare l’impresa o le famiglie e quindi se guardare a migliori condizioni per lo sviluppo agendo sui fattori di competitività intervenendo sul cuneo fiscale oppure con misure più generose per le famiglie di lavoratori e pensionati.

Questo intervallo non è stato tempo sprecato se è vero che la cabina di regia di Palazzo Chigi ha proceduto alla ulteriore messa a punto di alcune misure legislative perfezionando disposizioni che avevano generato allarme e preoccupazione come nel caso dei bonus e degli incentivi fiscali alle ristrutturazioni in edilizia.

La drastica riduzione dei bonus in questo comparto avrebbe determinato una confusione generale nel sistema trattandosi di investimenti che richiedono orizzonti pluriennali e tempi di realizzazione che non coincidono con le scadenze temporali fiscali.

Del resto il bonus nell’edilizia ha determinato un volume di oltre 57 mila pratiche e quasi 10 miliardi di investimenti.

Una pericolosa asimmetria tra cronoprogrammi dello stato di avanzamento dei lavori e scadenze fiscali avrebbe determinato incertezze e confusione. Tutto ciò in un momento di ripresa economica che ha evidenziato la lievitazione dei costi dei materiali con conseguenze sui preventivi di spesa, su procedimenti complessi come le delibere assembleari, sulla revisione prezzi, sui tanti soggetti coinvolti (amministratori progettisti, famiglie, condomini, banche, imprese).

Alla lievitazione dei costi si è aggiunta la carenza di materie prime come ferro e legname, di materiali come i ponteggi per le costruzioni e perfino di manodopera che preferisce il reddito di cittadinanza piuttosto che affrontare esperienze lavorative fuori sede.

Non c’è solo il problema dei chip per la manifattura dell’automotive o delle integrazioni nelle catene di fornitura e di valore. Di questo è bene tenere conto. Non è sufficiente porre lo sguardo ad episodi diffusi di truffe nelle erogazioni a chi non ne aveva diritto. C’è anche un problema culturale che merita di essere affrontato. In questo senso appaiono positivi i correttivi per limitarne gli abusi rafforzando i controlli preventivi.

Il lavoro della cabina di regia ha consentito di aggiustare la manovra facilitando il procedimento legislativo in senso stretto, eliminando tensioni politiche, anche se le norme regolamentari che disciplinano la Sessione di Bilancio ormai saranno rispettate solo formalmente.

In poco più di un mese si dovrà fare quello che un tempo si faceva in tre mesi!

Altre questioni sono ancora sospese come la riforma delle pensioni su cui le posizioni sono divergenti.

Le commissioni parlamentari, soprattutto la commissione Bilancio, non potranno svolgere quella azione penetrante sulle singole disposizioni legislative così come il lavoro istruttorio e di “lettura” della politica piuttosto che operato dalle strutture tecniche parlamentari.

Le forze politiche non potranno svolgere quel confronto di merito che consente di entrare nello specifico, di valorizzare la propria cultura programmatica e valoriale, ma dovranno limitarsi a guardare le grandi scelte, i grandi aggregati finanziari cercando di alzare qualche effimero successo.

Del resto, sono molti anni che il Parlamento è chiamato a ratificare la decisione di bilancio senza incidere sui saldi di bilancio perché la Finanziaria è nelle sole mani del Governo stretto tra vincoli europei e vincolo interno del debito pubblico. La finanziaria ha ormai perso il significato che aveva quando fu predisposta per la prima volta nel 1978 da Filippo Maria Pandolfi dopo la riforma della legge di contabilità 468 del 1978 e successive modifiche e integrazioni.

Con la pandemia è cambiato il mondo!

Oggi il Parlamento è ulteriormente svuotato sia nella rappresentanza che nella funzione.

L’azione parlamentare ed i relativi interventi saranno assolutamente marginali e non incideranno sulla sostanza e sulla realizzabilità della manovra come avviene ormai da anni; l’integrità della manovra per il 2022 sarà salvaguardata.

Questa situazione del Parlamento è destinata a peggiorare se non si affronteranno per tempo i problemi legati alla riduzione dei seggi parlamentari.

Ciò richiede infatti una riforma urgente dei regolamenti parlamentari che investa la questione dei numeri della rappresentanza costruita su un Parlamento diverso da questo che si aprirà con la diciannovesima legislatura.

Senza interventi profondi, coraggiosi e responsabili, si determinerà una paralisi con un Parlamento frammentato e svuotato nelle sue funzioni di organo legislativo. Questo è un lavoro che dovrebbe essere affrontato da subito.

Dubito che i due Presidenti delle assemblee legislative abbiano la forza, la competenza, il carisma, la autorevolezza per perseguire questo obiettivo. Naturalmente questo è il risultato di chi voleva questo stato di cose favorendo l’affermazione di una Costituzione materiale cancellando progressivamente quella formale.

È una situazione che dovrebbe generare allarme e preoccupazione.

E invece troviamo silenzio negli organi di informazione ormai avvitati in una spirale di crisi dell’editoria come dimostrano i recenti dati delle vendite dei quotidiani e la stessa riforma dell’inpgi (l’istituto di previdenza dei giornalisti italiani) che trova spazio nell’articolo 29 della finanziaria sancendo il passaggio all’INPS con la salvaguardia dei diritti acquisiti nel vecchio regime del Fondo previdenziale autonomo.

Cade con rammarico l’ultimo baluardo dell’autonomia dell’informazione addossando facili responsabilità.

C’è poi un altro elemento da sottolineare.

Questa decisione di bilancio si realizza alla vigilia della scadenza presidenziale.

Il presidente del Consiglio si è mosso in modo accorto, evitando che fossero affrontate questioni divisive che avrebbero alimentato tensioni tra le forze politiche anche interne alla maggioranza. La scelta di rinviare alcune questioni è stata saggia. Ha significato, come dire. vedetevela voi se siete in grado di farlo e quando sarete chiamati a decidere perché questo non fa parte del programma di governo che verte sulla lotta al virus e alla emergenza COVID e sul PNRR.  Questa è la mission istituzionale del governo di Mario Draghi e il presidente del Consiglio la sta realizzando con pieno successo, come dimostrano i dati inoppugnabili.

Le stesse previsioni dell’Unione Europea confermano un orizzonte di crescita sostenuta e stabile oltre le due cifre nel prossimo biennio che poggia sul pieno utilizzo del RRF, negli investimenti pubblici accompagnandola con il piano nazionale degli investimenti complementari e delle condizioni di finanziamento che hanno determinato la crescita dei prestiti bancari con tassi applicati dalle banche ai minimi storici.

La pandemia ha colpito i movimenti dell’export e i settori contact intensive (commercio, trasporti, ricezione, spettacolo, sport) non hanno recuperato i livelli precedenti alla crisi sanitaria.

Le incertezze sulla inflazione e soprattutto sui prezzi energetici non mettono tuttavia in discussione il percorso di crescita.

Se c’è un dato che in questa manovra colpisce è la spinta agli investimenti (ben 112 miliardi aggiuntivi tra il 2022 e il 2036) e il nuovo rapporto tra spesa per interessi e investimenti.

La spesa per investimenti per il prossimo anno (143 md) è doppia rispetto a quella per interessi (76 md). Ciò significa che non ci stiamo solo dissanguando per adempiere al costo del servizio del debito, ma guardiamo al futuro con prospettive di crescita solida e duratura.

Per gli investimenti privati si è agito sui beni strumentali attraverso la legge di grande successo come la nuova Sabatini e sulla ricerca e sviluppo. Non va infine dimenticata la lettura dei saldi finanziari e la dimensione annuale del forte ricorso al mercato (478 miliardi nel 2022) impone attenzione costante e scelte oculate nella gestione del bilancio e nell’uso razionale delle risorse.

L’elezione di Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica significherebbe non solo il riconoscimento di meriti storici della persona che ha guidato il Paese nella fase difficile della crisi internazionale, ma anche la migliore garanzia per il perseguimento degli ideali europei nella integrazione comunitaria, il consolidamento dei legami transatlantici e sul piano interno una valorizzazione del merito in risposta alle bislacche e dannose teorie dell’uno vale uno!

Sarebbe la migliore garanzia di proseguire la linea Draghi anche senza Draghi, senza i fantasmi del presidenzialismo materiale e quindi fuori dal dettato costituzionale.

Dalla decisione di bilancio 2022 matureranno le condizioni per la elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Se il percorso sarà agevole si elimineranno future tensioni, altrimenti la via delle elezioni anticipate nel 2022 appare inevitabile.

Maurizio Eufemi

pubblicato sul giornale online "beemagazine"

https://beemagazine.it/finanziaria-a-tempo-di-record-in-un-parlamento-quasi-esautorato-la-manovra-di-bilancio-2022-tra-scadenze-istituzionali-e-prospettive-elettorali/

Quirinale, eleggere Draghi al primo scrutinio. Evitare le ‘’lotte tra comari’’ Parlamento più debole nella prossima legislatura. Parla Gerardo Bianco

(articolo pubblicato sul giornale online beemagazine.it)

 

Gerardo Bianco, nove legislature in Parlamento, ministro della Pubblica Istruzione, vicepresidente della Camera, capogruppo della Dc nel 1979 -1983 e nuovamente dal 1992 al 1994, poi segretario del PPI, europarlamentare, docente universitario di letteratura latina. Quindi un protagonista e un testimone di eccezione.

Quale metodo ricercare per la elezione del Presidente della Repubblica? 

In questo momento di ‘’eccezione della logica’’, per l’emergenza politica determinata dalla pandemia, con tutti i partiti con culture diverse al governo del Paese come in uno stato di guerra, a mio parere si debbono mettere da parte le differenze partitiche. In una situazione di guerra la risposta giusta dovrebbe essere la elezione immediata al primo scrutinio di un rappresentante di grande autorevolezza interna e internazionale con una alta ispirazione europeista.

Il nome c’è ed è quello dell’attuale presidente del Consiglio.

 Stamane Guido Bodrato ha detto che serve un nome anche giovane che si faccia carico della Costituzione senza stracciarla. 

La grande lezione etico- politica che viene da Sergio Mattarella è lo scrupoloso rispetto della Costituzione nella lettera e nello spirito.Ritengo positivo eleggere subito il presidente della Repubblica e non con tatticismi. Quando non c’è accordo si procede con schede bianche nelle prime votazioni per andare al quarto scrutinio quando la maggioranza si abbassa.  Sarebbe una scelta sciagurata.

 E allora qual è la strada maestra? Quale metodo seguire?

 Il metodo è trovare un nome al quale le forze politiche non possono dire di no.

 Draghi apre un problema, ed è la continuità del governo fino al 2023. 

Non si devono sciogliere le Camere quando si deve realizzare compiutamente il PNRR con la piena messa a terra. Le soluzioni possibili per realizzarlo ci sono. Se la soluzione della Presidenza della Repubblica è unitaria con una stragrande maggioranza parlamentare diventa più facile trovare la soluzione che arrivi alla scadenza naturale.

 Quali rischi paventa?

Quello che trovo inaccettabile, in questo momento così delicato, sono le preclusioni e i litigi personali. Per la dignità della politica le lotte fra comari vanno assolutamente evitate ragionando sugli interessi principali del Paese che è duplice: rafforzamento dell’europeismo come ha detto Mattarella e ripresa economica guardando alla questione ecologica che richiede anche un profondo ripensamento della cultura economica.

 Che Parlamento sarà dopo la riforma costituzionale che ha ridotto un terzo dei seggi? 

È una riforma che dal mio punto di vista poteva essere positiva in un quadro generale che coinvolgesse le autonomie locali come Regioni e Comuni. Se inquadrata, così come è ora, senza riforme verso le altre realtà, punitiva verso la rappresentanza, è concettualmente profondamente sbagliata.

 Questa riforma ha rafforzato o indebolito il Parlamento?

 Non c’è il minimo dubbio: ha indebolito il Parlamento. La riforma doveva essere recuperata come asse portante della democrazia repubblicana, invece è stata presentata anche nella opinione pubblica come forma punitiva di riduzione della rappresentanza, e prende strada verso un semipresidenzialismo e presidenzialismo che è una pericolosa tentazione che riemerge per rafforzare l’efficacia di governo

In realtà è una forma di destrutturazione che favorisce il populismo, cancella il ruolo fondamentale dei corpi intermedi tra Governo e la organizzazione politica. I corpi intermedi sono essenziali, come si è visto in Francia, dove si è determinato un conflitto tra vertice dello Stato e di governo e la folla. Favorisce le Jacquerie che caratterizzano le manifestazioni politiche francesi.

 C’è chi prevede, o teme, che con un Parlamento ridotto e forse indebolito si rafforzi il ruolo del governo

Il rafforzamento del Governo è necessario in Italia, ma dovrebbe seguire la logica del sistema parlamentare italiano. La Democrazia Cristiana propose la sfiducia costruttiva. Quasi tutti questi problemi furono già individuati e affrontati con provvedimenti presentati in Parlamento. Si trovano già le risposte.

 Un ricordo di passate elezioni presidenziali? 

Posso fare riferimento alla elezione di Scalfaro avendo fatto parte della delegazione come capogruppo Dc.La elezione di Scalfaro non fu una pagina esaltante per quello che accadde in quelle giornate. È stato un buon Presidente della Repubblica, ma tutto ciò è successo prima, i franchi tiratori, l’idea di imporre il proprio candidato dopo aver tradito, fu una visione miope. Chi sbloccò la situazione fu poi Bettino Craxi con l’accordo globale raggiunto con la delegazione Dc che prevedeva Scalfaro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano presidente della Camera e un socialista a Palazzo Chigi.

Di quella delegazione, dopo il ritiro di Forlani, facevano parte tre irpini: De Mita presidente del Partito, e i due Capigruppo Mancino e Bianco. Se Forlani non si fosse ritirato poteva essere eletto.

 Intervista di Maurizio Eufemi, Senatore nella XIV e nella XV legislatura

https://beemagazine.it/quirinale-eleggere-draghi-al-primo-scrutinio-evitare-le-lotte-tra-comari-parlamento-piu-debole-nella-prossima-legislatura-parla-gerardo-bianco/

La lezione di Donat-Cattin secondo Aimetti. Una biografia accurata alla luce della storia politica del secondo Novecento

(articolo di Giorgio Merlo tratto dalla rivista online "Il DOMANI")

 

Il libro scritto da Giorgio Aimetti pubblicato recentemente da Rubbettino, “Carlo Donat-Cattin, la vita e le idee di un democristiano scomodo”, non ripercorre soltanto il magistero politico, culturale, sociale ed istituzionale – e privato – del leader democristiano piemontese e di un importante e qualificato statista della prima repubblica, ma ha il merito di rileggere anche le costanti che hanno caratterizzato la politica italiana per quasi 50 anni.

 

 

Certo, sono molti gli aspetti che si potrebbero trarre da una vasta ed interessante pubblicazione come questa. Ma c’è un aspetto che a volte viene dimenticato, o volutamente sottovalutato, e che invece merita di essere ripreso e approfondito perchè non ha una scadenza temporale nè può essere banalmente storicizzato. Parlo del rapporto tra i cattolici e l’impegno politico, o meglio il ruolo dei cattolici democratici, popolari e sociali nella cittadella politica italiana nelle diverse fasi storiche e che resta un tema di grande attualità. Moderno e contemporaneo. E nell’epoca storica che ha visto protagonista Carlo Donat-Cattin – cioè dall’inizio degli anni ‘50 sino all’inizio degli anni ‘90 – il rapporto dei cattolici con la politica e soprattutto con la gerarchia ecclesiastica e i suoi insegnamenti è stato un elemento costitutivo per lo stesso impegno nella società e nelle istituzioni democratiche.

 Un rapporto che è stato comune e simile per molti leader democratici cristiani ma non per tutti. In sintesi, per uomini come Donat-Cattin essere un cattolico impegnato nel pubblico – nell’Azione cattolica come nel sindacato, nella politica come nelle istituzioni – è sempre stato ispirato a 3 criteri di fondo che rispondono anche alla sua concreta esperienza nelle varie fasi della sua vita.

 Innanzitutto un rigoroso rispetto della laicità dell’azione politica e sindacale. Differenza dei ruoli e dei “piani”, come si diceva un tempo, ma sempre ispirati ad una concezione che affondava le sue radici nell’umanesimo cristiano e, per quanto lo riguardava, nel filone del cattolicesimo sociale. Per questi motivi la dottrina sociale della Chiesa, nella sua diversa e continua evoluzione, ha sempre avuto un’importanza centrale per tutto il suo magistero pubblico. E coniugare la laicità dell’azione temporale con una coerente aderenza all’insegnamento della Chiesa è sempre stato il faro che ha illuminato la sua militanza concreta.

 In secondo luogo nessun cedimento al clericalismo e al confessionalismo. Atteggiamenti, invece, che hanno contraddistinto, nella lunga stagione politica democristiana, il comportamento politico di molti altri esponenti che a volte confondevano l’aderenza all’insegnamento della Chiesa e, nello specifico, di alcuni settori della gerarchia, con il condizionamento della concreta azione politica. Una sorta di clericalismo strisciante che era apprezzato nelle segrete stanze delle varie Curie disseminate in tutto il paese ma che non incrociava gli interrogativi e le domande che una società, sempre più laica e secolarizzata, poneva ai politici. Anche e soprattutto cattolici. E Donat-Cattin, su questo versante, ha sempre privilegiato i contenuti e il progetto politico di cui si faceva portatore rispetto a indicazioni che provenivano da altri settori. Qualsiasi essi fossero.

 In ultimo, ma non per ordine di importanza, la rettitudine morale e personale di Donat-Cattin senza mai scivolare nel moralismo sciatto e avaloriale. Di qui la celebre distinzione tra i “moralisti” che indicano un problema e individuano se stessi e il proprio clan come gli unici titolari ad affrontarlo e risolverlo, e i “moralizzatori” che, al contrario, si battono per la soluzione del problema senza anteporre mai la propria persona e il proprio cerchio di amici coma la via miracolistica e salvifica da perseguire. Sotto questo aspetto, la lunga, complessa e difficile militanza politica di Donat-Cattin ha sempre concentrato la sua attenzione sui contenuti dell’azione politica e sindacale senza mai farsi affascinare o condizionare dai richiami moralistici frutto di una sub cultura che ha caratterizzato, al contrario, alcune esperienze riconducibili al mondo cattolico tradizionale.

 Mi sono soffermato solo su tre aspetti, tra i tanti, che si potevano ricordare attorno a questo tema. Ma, comunque sia, anche per intraprendere oggi una nuova e rinnovata azione politica da parte dei cattolici italiani non possiamo – e non dobbiamo, a mio parere – dimenticare lo straordinario magistero politico e culturale di uomini come Carlo Donat-Cattin. Che hanno anche pagato personalmente un duro prezzo per aver sempre conservato nella loro vita una coerenza esemplare e cristallina nell’azione sindacale, politica e istituzionale.

Giorgio Merlo

http://www.ildomaniditalia.eu/la-lezione-di-donat-cattin-secondo-aimetti-una-biografia-accurata-alla-luce-della-storia-politica-del-secondo-novecento/

I diritti civili, il progetto Zan, il divorzio e l’aborto.

Stamattina ascoltavo un dibattito - su La7 dopo l’outing dell’ex ministro  Spatafora - con la rappresentante del Pd Alessia Morani che faceva la lezioncina sui comportamenti parlamentari per gli applausi alla bocciatura parlamentare del progetto Zan.
Anziché prendersela con gli errori strategici del suo partito che ha impedito la ricerca di un possibile compromesso parlamentare, puntava il dito contro gli avversari politici a suo dire insensibili ai diritti civili, come se i sostenitori di tali diritti fossero solo a sinistra. Alessia Morani dimentica gli applausi della sinistra alla approvazione della legge sul divorzio nel 1970 e sull’aborto nel 1978 come certificano i resoconti parlamentari. !!!
Una maggiore compostezza sui voti d’Aula sarebbe necessaria e opportuna  da parte di tutti gli schieramenti senza eccezioni e senza lezioncine smentite dalla storia!

Roma, 8 novembre 2021

Draghi e il Quirinale

Mario Draghi ha presentato la Nadef premessa della legge finanziaria e della manovra di bilancio. È un documento, frutto della capacità di governo in una fase critica per le conseguenze della pandemia e soprattutto di mettere in campo le scelte razionali per un consolidamento della crescita economica attraverso la leva degli investimenti.
È un significativo cambiamento di rotta dopo gli anni di assistenzialismo degenerativo senza selezione degli interventi e conseguente spreco di risorse pubbliche.
La fase politica che ci separa dalla elezione in febbraio del nuovo Presidente della Repubblica sarà agevolmente superata dal governo Draghi. Le fibrillazioni, inevitabilmente si apriranno successivamente a quella scadenza. È paradossale che la elezione di Mario Draghi al vertice delle Istituzioni repubblicane venga ostacolata da quanti temano per le elezioni politiche anticipate che metterebbero a rischio la rielezione di deputati e senatori in una rappresentanza parlamentare compressa dalla riduzione dei seggi parlamentari!
Il timore di perdere il seggio e i privilegi parlamentari soprattutto per i cinque stelle spingerà a cercare un compromesso al ribasso cercando di tenere Draghi a Palazzo Chigi non per realizzare una agenda per il Paese ma per sopravvivere ai privilegi fintamente combattuti (indennità e pensione). Con le elezioni anticipate nel 2022 perderebbero tutto ciò.
Ma è un calcolo illusorio perché comunque vada l’appuntamento presidenziale le fibrillazioni nella larga maggioranza tenderanno a crescere per il riposizionamento delle forze politiche sui temi cruciali come il fisco e la casa.
È inaccettabile quanto si sta perpetuando tenendo un Parlamento sotto ricatto di quanti hanno fallito nelle riforme e nel governo del Paese. Tutto ciò accade perché sono stati cancellati i presidi di libertà del Parlamento e dei parlamentari, che consentivano di potere svolgere il mandato senza condizionamenti, come dimostrano le elezioni anticipate fino al 2008.
Poi è tutta un’altra storia. Si è assistito ad una progressiva erosione della democrazia parlamentare.
Dall’altro lato v’è chi vede Draghi al Quirinale non per i suoi altissimi meriti come sarebbe giusto, ma come occasione per affermare un semipresidenzialismo materiale aggirando la Costituzione senza avere il coraggio di realizzare le adeguate riforme costituzionali.

 

Maurizio Eufemi

In Ricordo di Mino Martinazzoli uomo di Stato e legislatore.

In occasione del decennale della scomparsa di Mino Martinazzoli c’è stata la corsa delle tifoserie a ricordarne la figura con un eccesso di strumentalizzazione concentrandosi in modo prevalente sulla fase finale del suo impegno politico. Come se quelle sue responsabilitá finali potessero cancellare la Sua storia  personale e politica che era quella di un intellettuale che nella Dc aveva potuto portare avanti gli ideali del solidarismo cattolico di cui Brescia era la esaltazione in un terreno fertile ricco di valori e tradizioni.
E ho trovato tutto ciò molto stucchevole. Una tale impostazione ha finito per fare un grave torto all’Uomo Martinazzoli prima che al politico. Si è perciò finito per dimenticare Martinazzoli ministro della Giustizia, Presidente del gruppo parlamentare dei deputati Dc, ministro Difesa, ministro delle Riforme Istituzionali, Presidente della Provincia, Sindaco.

Ho ricordi nitidissimi della sua azione politica e legislativa. Era un uomo che pensava molto, in solitudine, prima di decidere. La sua decisione era “sofferta”. Quando però aveva maturato il convincimento, la sua linea era nitida, senza incertezze.
Oltre che fine giurista guardava con attenzione ai problemi economici e finanziari con una razionalità tutta sua. La sua sensibilità politica lo portò a “firmare” alcune proposte di legge che responsabilmente coinvolgevano l’intero Gruppo e il Partito della Democrazia Cristiana .
Mi riferisco alla legge quadro sul volontariato, alla tutela dell’embrione umano, agli interventi per la Piccola e media impresa o la riforma del trattamento fiscale per la famiglia compresa la detrazione del canone per le nuove famiglie e la lotta alla evasione fiscale. Come si può vedere temi di strettissima attualità.
Presentò una mozione per difendere la cultura della vita che si scontrò con il fronte abortista della legge 194. Non rinunciava pertanto a “sollecitare la politica ad assumere consapevolezza delle proprie responsabilità nei confronti della vita e ad intendere che per una indifferenza o per una rinuncia o per cinismo su queste frontiere si consumerebbe il suo declino irrimediabile, né più né meno la sua insignificanza”. Siamo convinti – affermava Martinazzoli – che la politica deve avere precisa coscienza dei propri limiti e che non le tocca alcun arbitrio nei confronti della libertà della scienza. Le compete però un dovere di tutela ultima di fronte al rischio di offese irrimediabili alla condizione umana …”
Non si può tralasciare il suo impegno nella riforma della contabilità di stato, la cosiddetta 468 del 1978, che sotto la sua presidenza sarebbe stata ampiamente modificata divenendo la legge 362 del 1988. Volle un momento di grande dialogo istituzionale nella Sala delle Capriate della Biblioteca della Camera, con la partecipazione di Carli, Amato, Andreatta, Guarino, Tarabini, Macciotta e tecnici di grande valore come Zaccaria, Salvemini, Giarda e Gaboardi. Aveva bene presente che occorreva la ricerca di buone regole insieme a impegni e comportamenti politici accettabili. Aveva il senso della responsabilità e del gesto personale e come Presidente del Gruppo dovesse dare il buon esempio evitando che nella legge Finanziaria delle scorrerie di quegli anni, nessuna iniziativa dovesse essere targata Brescia. Così come la riforma delle regole dovesse partire dai Regolamenti parlamentari.
Va ricordato come primo firmatario del progetto di legge del 14 aprile 1989 che prevedeva la riduzione del debito dello Stato e disposizione sul capitale di enti pubblici economici. A ben vedere si trattò di iniziative legislative lungimiranti con l’introduzione del fondo di ammortamento del debito pubblico rispetto a decisioni che saranno prese solo con grande ritardo.
Ma Mino Martinazzoli si pose con forza il problema della questione morale come momento di riconciliazione tra i cittadini e le istituzioni. La questione morale come momento di riordino istituzionale, economico e sociale. Volle un grande momento di mobilitazione intellettuale con Leopoldo Elia, Giuseppe De Rita, Roberto Ruffilli per superare la “quotidianità” e guardare con la necessaria tensione culturale e morale oltre l’orizzonte attraverso un aggiornamento della Costituzione, il recupero di efficienza dell’istituto parlamentare attraverso la revisione dei regolamenti, insieme alle grandi questioni come decreti legge e voti di fiducia che muovevano pericolosamente verso una progressiva alterazione.
La sua sensibilità istituzionale è fuori discussione. Nella sua analisi si percepiva una linea di movimento precisa, quella di considerare il Parlamento il luogo del confronto, di interpretazione e di rappresentazione della domanda sociale. Una visione ben lontana da chi voleva una marginalizzazione del Parlamento e una compressione dei corpi intermedi e delle formazioni sociali.
La fine della esperienza storica della  DC non ha un solo responsabile ma tanti responsabili!

Maurizio Eufemi

Lettera aperta al senatore Mirabelli

 

Onorevole senatore Mirabelli,

Ho letto la Sua dichiarazione ieri alla notizia della scomparsa dell’onorevole Nadir Tedeschi e l’ho trovata bella nella forma,  ma vuota nella sostanza. Nulla più che parole di circostanza. Ho conosciuto Nadir nel 1976 quando fu eletto alla Camera sull’ondata del rinnovamento zaccagniniano con 101 nuovi deputati su 265! Portó la sua esperienza e formazione  professionale in Commissione Industria insieme a valorosi colleghi come Citaristi, Merloni, Brini, Tesini Aristide Sangalli e tanti altri. Ricordo in particolare il suo penetrante impegno nella indagine conoscitiva sull’elettronica, allora ai primi passi!


E ho trovato molto ipocrita la dichiarazione del Presidente Fico che si ricorda degli ex a seconda delle circostanze o forse delle sollecitazioni di qualche alleato. E allora mi domando e domando che cosa Ella ha fatto per onorarne la memoria quando Nadir era in vita e quando veniva accusato come tutti noi di essere “ladri di privilegi” “ladri di vitalizi”, Lui Nadir deputato diligente, riservato, discreto ma fermo nelle convinzioni e nella azione politica. A Lui che era stato decurtato il vitalizio con l’insensato  metodo Boeri di oltre il 70 per cento avendo lasciato il Parlamento 34 anni fa! Nadir vittima dell’odio e della violenza brigatista! Io come parlamentare mi sono battuto affinché alle vittime del terrorismo fosse simbolicamente assegnata una medaglia d’oro!

E Nadir  ebbe questo riconoscimento insieme alle centinaia di altre vittime. Perché la Storia non si cancella!


E Nadir ha continuato a fare politica come Ella ha ricordato nella sua nota, anche con i suoi libri pubblicati in proprio perché con ci si separa dalla politica con la conclusione dei mandati elettorali. Fino a quando gli è stato possibile venire a Roma non rinunciava a passare alla sede della nostra associazione allora in vicolo Valdina per scambiare opinioni con il Presidente. E il vitalizio serviva anche a questo: a garantire una vita dignitosa e a mantenere un legame con la propria comunità.
Quale credibilità possono avere le Sue parole se non viene difesa la dignità di persone come Nadir offese da scelte demenziali avallate da quel Presidente Fico che pronuncia lacrime di coccodrillo!
Un Parlamento che sia alla Camera che al Senato mentre è impegnato nella riforma della Giustizia e del giusto processo non riesce - a distanza di tre anni - a chiudere i vari gradi di giudizio sui vitalizi impedendo a persone come Nadir di avere Giustizia!
Se avessi potuto sarei venuto ai funerali con lo stendardo della Associazione  ex parlamentari per onorarne la memoria!
Dunque caro senatore Mirabelli, meno ipocrisia e meno lacrime di coccodrillo. C’è un momento della vita in cui bisogna avere coraggio, quel coraggio che Nadir aveva!


Distinti saluti
On. Maurizio Eufemi

Salvatore Rebecchini è stato un grande sindaco, nonché un lucido interprete del centrismo degasperiano nella Capitale.

Il video dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC), presente sul canale YouTube de “Il Domani d’Italia”, inquadra bene la figura del Primo cittadino di una Roma appena uscita dalla catastrofe del fascismo e della guerra. Occorre tuttavia ricordare lo stretto legame tra Rebecchini e la Dc di De Gasperi, altrimenti il profilo dell’uomo e dell’amministratore pubblico non corrisponde appieno alla giusta verità storica.

Ho riflettuto sulla bella presentazione di Salvatore Rebecchini, sobria, senza enfasi ma al tempo stesso attenta a rimarcare i tratti distintivi del personaggio, uomo di cultura, cattolico, modernizzatore, capace di scelte urbanistiche funzionali allo sviluppo della città e in prospettiva dellarea metropolitana. Il merito dell’iniziativa è dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC) che ho avuto l’onore di presiedere fino a qualche mese fa, per poi passare la staffetta all’amico D’Ubaldo. Questa opera di ricostruzione storica è fondamentale. Forse alcune vicende avrebbero richiesto un maggiore approfondimento, come ad esempio quella che all’epoca interessò la costruzione dell’hotel Hilton a Monte Mario, scatenando una delle prime aggressioni politiche alla Dc in nome di una esasperata e grezza questione morale. Nondimeno sarebbe stato interessante, su un altro piano, illustrare l’operazione che portò a realizzare il tunnel di Porta Cavalleggeri, funzionale al collegamento tra PonteDuca DAosta, via Gregorio VII e via Aurelia, verso il Grande Raccordo Anulare.  

Lo stesso successo non ebbe lipotizzato tunnel da Piazza di Spagna a Via Veneto per lopposizione dei radical–ambientalisti prima maniera, sempre guidati dallEspresso. Lidea in forma più ridotta e parziale sarà infine adottata per collegare il parcheggio di Villa Borghese a Piazza di Spagna e quindi alla stazione della Metro A. Si potrebbe andare avanti, cercando insomma di capire meglio, a beneficio di un’analisi più compiuta, cosa significasse negli anni ‘50 lafame di case per limpetuosa immigrazione e la crescita esponenziale della popolazione della città.

Tutto ciò premesso, è mancata a mio parere l’indicazione circa la collocazione di Rebecchini nel preciso contesto storico e politico. Era un civico prestato alla politica, ma fece una scelta di campo. Si presentò con le liste della Dc altrimenti non avrebbe potuto fare il sindaco con le sue sole forze. Governò la città nell’ottica di una grande opzione democratica, magari con una certa inclinazione al moderatismo, con ciò interpretando da par suo la funzione del centrismo degasperiano. Alla luce delle successive evoluzioni, ovvero con l’avvento del centro-sinistra in Campidoglio, la sua figura apparve consegnata a un tempo contrassegnato dalla subalternità del partito alla visione e alla iniziativa dei blocco moderato-clericale.

La scelta della famiglia sarà confermata anche dal figlio Francesco, senatore per cinque legislature, poi più volte sottosegretario, eletto a Roma, ma anche in Lombardia per volere di Albertino Marcora (uno dei leader della sinistra di Base). Posso anche comprendere che poi Gaetano, di fronte alla catastrofica diaspora della Dc, sia stato protagonista della nascita e della evoluzione di Alleanza Nazionale, cui ha dato un rilevante contributo culturale con il suo Centro di orientamento politico e con gli interessanti incontri di Palazzo Colonna. La stella polare della famiglia, tuttavia, non può che rimanere la Dc. E tralasciare questa appartenenza fa un torto al sindaco e alla Dc, nonché si potrebbe dire un torto a quanti di noi genitori zii e nonni lo hanno votato, Dalvatore Rebecchini, e sarebbero oggi orgogliosi di scelte come quelle da lui compiute nell’interesse della città.

Queste sono alcune puntualizzazioni semplici e modeste, in spirito di amicizia. Non rappresentano una critica, in definitiva, ma una amara riflessione perché spesso tocca fare i conti, ma stavolta incidentalmente, con le troppe remore che gravano sulla memoria della complessa vicenda democristiana.

Maurizio Eufemi e Mario Tassone, articolo pubblicato sul sito: "Il Domani d'Italia"

http://www.ildomaniditalia.eu/salvatore-rebecchini-e-stato-un-grande-sindaco-nonche-un-lucido-interprete-del-centrismo-degasperiano-nella-capitale/

ENZO CARRA, DAVIGO E IL 1993

IL FATTO

L'intervista

IL DOCUMENTO

L'interrogazione

IL DIBATTITO

Il resoconto integrale

(vai al documento pdf)

L'odiosa pretesa di Sofri: dettare la linea al Presidente della Repubblica e riscrivere la storia

Le parole di Sofri confermano che la stagione della Verità e della Pacificazio9ne è ancora lontana, lontanissima.

L’articolo di ieri su “Il Foglio” dell’ex leader di Lotta Continua, Adriano Sofri, lascia basiti.

Condannato per l’omicidio del commissario Calabresi, egli non si perita di richiamare il Presidente della Repubblica su ciò che deve dire e quanto deve dire.

Prende spunto dal Giorno della memoria per compiere sottilmente un’operazione di riscrittura della storia. Contrappone infatti il 9 maggio 1978 (via Caetani) al 12 dicembre 1969 (Piazza Fontana). La data, in ogni caso, è stata decisa da un libero Parlamento e va rispettata.
Coincide con la ricorrenza della uccisione di Aldo Moro, espressione più alta del sacrificio di un uomo di Stato, ed è dedicata a Lui e a tutte le vittime del terrorismo.

Le parole di Sofri confermano che la stagione della Verità e della Pacificazione è ancora lontana, lontanissima.
Permangono in vasti ambiti della cultura della sinistra ancora le teorie stragiste che hanno creato l’humus da cui è germogliato Il terrorismo che negli anni settanta ha insanguinato il Paese.

Schiere di intellettuali che assicuravano facilmente la loro firma a questo o quel manifesto, hanno indottrinato tanti giovani lungo un percorso di violenza e destabilizzazione, travolgendo ideali e scelte di civiltà. Hanno immolato, cioè, la loro vita inseguendo un disegno rivoluzionario, strumento di capi che si sono adagiati sull’onda di una fama e di una considerazione più o meno camuffata, certamente inaccettabile.

È questa la colpa più grave di cui si dovrebbero vergognare, facendo autocritica e raccogliendosi in un dignitoso silenzio.

Quando Aldo Moro il 6 aprile 1977, in un clima di escalation terroristica, parla a Firenze richiamando all’unità contro la violenza, lo fa perché erano state devastate sedi di partito e luoghi d’incontro. La sua denuncia è contro la “cieca ed irrazionale violenza sulle cose e sul significato profondo umano e politico che queste cose hanno“.

A cosa si riferiva? In verità erano state colpite sette sedi della Dc a Firenze, oltre quelle di Grosseto, e due di Roma. “Si contesta la Dc – disse Moro – perché essa è oggi come era ieri un grande ostacolo per coloro che volessero realizzare taluni obiettivi che noi non riteniamo non utili al Paese. Perché la Dc è la difesa non di interessi particolari, ma di intuizioni, di ideali, di valori che sono presenti nella società italiana: valori , ideali, intuizioni che il corpo elettorale ha dimostrato di non volere vedere trascurati”.

Moro aveva ben presente che “questa battaglia scatenata contro di noi è in fondo il segno di una nostra presenza efficace nella vita nazionale che si cerca di scardinare in qualsiasi modo“. Forse sarebbe bene rileggere l’articolo ritrovato in via Fani, non finito di correggere, sulla polemica tra due generazioni di comunisti (quella di Amendola e quella di Petruccioli) sulla esperienza del governo Tambroni, sulla rivoluzione del ‘68/69, su chi ha cercato con fermezza di respingere l’equivoca indulgenza verso chi voglia costringere con la forza ad una nuova forma di libertà, di convivenza e di consenso.

Perché Sofri insiste sul 12 dicembre 1969 e non sul 9 maggio 1978? Evidentemente perché vuole condannare una determinata matrice politica per la strage di Milano, con ciò preferendo “saltare” il riferimento all’assassinio di Aldo Moro. Vale la pena precisare, a riguardo, che il gesto terroristico veniva clamorosamente a colpire, con crudeltà, chi rappresentava il sistema di libertà e di democrazia, ovvero l’anima politica dello Stato che si voleva abbattere.

 

Maurizio Eufemi e Mario Tassone, articolo pubblicato sul sito: "Il Domani d'Italia"

http://www.ildomaniditalia.eu/lodiosa-pretesa-di-sofri-dettare-la-linea-al-presidente-della-repubblica-e-riscrivere-la-storia/

La concertazione di Ciampi, suggerita da Letta a Draghi, non è facilmente replicabile. Oggi serve ricostruire la centralità del Parlamento.

Solo un ruolo centrale del Parlamento può consentire di ripensare e ridefinire “regole del gioco”

 

Ieri il segretario del PD Enrico Letta con un articolo sul Corriere della Sera ha gettato un sasso nello stagno della politica con una proposta di indubbio valore politico. Ha richiamato il modello Ciampi dell’estate del 1993 come nuovo Patto Sociale per uscire dalla crisi. Va detto tuttavia che era stato preceduto dall’accordo sul costo del lavoro del luglio 1992.
Purtroppo – e lo riconosce lo stesso Letta – le condizioni oggi sono diverse. È indubbio che ne rendono difficoltosa la realizzazione. È diversa oggettivamente la situazione dei soggetti coinvolti a partire dai sindacati rispetto alla loro capacità di rappresentanza; poi i partiti della coalizione di governo lontanamente paragonabili alla struttura di Dc e PSI che in quegli anni, fino all’ultimo giorno della legislatura fecero il loro dovere senza titubanze nelle gravose decisioni parlamentari con forte senso di responsabilità.

La crisi del 1993 colpiva occupati e dipendenti e settori che avevano una proiezione sindacale, mentre oggi siamo una società polverizzata dalla tumultuosa crescita del terziario avanzato che è priva di rappresentanza perché lavoratori autonomi e partite IVA. Una crisi congiunturale nazionale di allora rispetto ad una crisi sistemica globale di oggi. Coloro che ritengono di interpretarne il disagio e le difficoltà non si assumono le responsabilità politiche fino in fondo come dimostra perfino il decreto sugli orari di chiusura dei ristoranti dove non si è riusciti a trovare un consenso bipartisan!
In quella fase congiunturale l’industria perse (soltanto!) 180.000 posti di lavoro nel 1992 e un 5-6 per cento di produzione industriale soprattutto nei settori più esposti alla concorrenza dopo Maastricht.

La crisi dei profitti delle imprese era attribuibile da un lato alla forte crescita della fiscalità complessiva cresciuta di dieci punti dal 1980 al 1990 superando il valore medio europeo soprattutto per l’incidenza delle imposte dirette cresciute di 5 punti e dall’altro ai crescenti oneri finanziari.
L’accordo con le parti sociali del luglio 1993, consolidando la politica dei redditi determinò una marcata riduzione del clup dal 3,8 all’1,6! Quello fu il grande merito di Ciampi, di porre le condizioni della ripresa negli anni successivi fin dal 1994.

Il 1993 sarà ricordato come l’anno dei “minimi” nel grado di utilizzo degli impianti, negli investimenti fissi lordi e in quelli netti ma anche l’anno della ripresa delle esportazioni.
Il segretario del PD pone poi, sullo sfondo e con forza una questione di grande rilevanza: la partecipazione dei lavoratori agli utili e alla governance dell’impresa. Anche se preferisco la dicitura “partecipazione alla vita e al destino dell’impresa” un principio determina un più forte coinvolgimento tra lavoratori e imprenditori e che riuscimmo ad inserire in un aspro confronto dialettico tra Parlamento e Governo nella legge delega di Tremonti nel 2003 ma che non fu poi esercitata dal governo!

Oggi riscoprire un nuovo modello di relazioni industriali e di democrazia economia può rappresentare l’occasione per guardare al futuro in modo innovativo superando i retaggi del passato. Enrico Letta ha avuto il merito di avere posto problemi che vanno oltre la pandemia e che necessitano di un consenso vasto per rimuovere gli ostacoli allo sviluppo perché oltre le risorse c’è bisogno di un nuovo sistema di relazioni tra tutti i soggetti politici, sindacali ed economici del Paese.

Solo un ruolo centrale del Parlamento può consentire di ripensare e ridefinire “regole del gioco” che richiedono un coinvolgimento largo delle forze politiche e sociali riscoprendo la sede naturale del confronto politico.

Maurizio Eufemi - articolo pubblicato sul sito "Il Domani d'Italia"

http://www.ildomaniditalia.eu/la-concertazione-di-ciampi-suggerita-da-letta-a-draghi-non-e-facilmente-replicabile-oggi-serve-ricostruire-la-centralita-del-parlamento/

La storia della Dc è più complessa delle semplificazioni di Aldo Cazzullo

 

Ad una lettera coraggiosamente provocatoria di Cirino Pomicino pubblicata oggi sul Corriere risponde Aldo Cazzullo.
Pensavo di leggere un romanzo e di essere in confusione. Poi l’irritazione è scemata. È bastato rimettere le cose a posto.
Mi sono convinto che Cazzullo ha sbagliato le stagioni non quelle meteo, ma quelle politiche.
Non ha saputo distinguere tra il Fanfani, ministro di De Gasperi dell’etá del centrismo con il Fanfani del centro sinistra, dimenticando perfino Aldo Moro, protagonista assoluto degli anni sessanta.
Si finisce per confondere le idee dei più giovani se il piano casa di Fanfani non si colloca nell’azione dei governi De Gasperi e se la nazionalizzazione dell’Enel non si inserisce nell’accordo di centro sinistra così come le riforme sulla scuola.
Il tentativo maldestro di Cazzullo di ridurre una grande opera infrastrutturale come l’autostrada del sole, esempio virtuoso e anticipatore di financial project, a vicenda di clientelismo elettorale fa sorridere. Basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che il tracciato della vecchia Cassia non era idoneo alla nuova infrastruttura. E il tracciato dell’alta velocità con fermata ad Arezzo, non è forse parallelo all’autosole senza che Fanfani abbia potuto intervenire per la sua Arezzo?
Si dimentica la democrazia interna, le regole statutarie della Dc, il congresso di Napoli, il tradimento degli alleati sulla legge elettorale dopo avere perseguito la politica delle alleanze, la nuova linea politica congressuale.
Si finisce di evitare ogni approfondimento sul dossettismo e sulla diffusione e penetrazione di Cronache Sociali.
E come dimenticare il carteggio tra Sturzo e De Gasperi con le preoccupazioni del 26 agosto del 1954 sui rischi per l’unità del Partito e per la instabilità di governo! Del resto già richiamato nella intervista al Messaggero del 1952 allo “ Stato forte”sulla “democrazia protetta”. Avrebbero potuto aiutare le letture dei diari di Nenni e l’intervista di La Malfa.
La storia della Dc è più complessa delle semplificazioni Cazzulliane.
Purtroppo ci accorgiamo come manchino le basi culturali per capire la Storia!


Possono essere di conforto le parole di Giovanni Spadolini, laico, storico e giornalista che da Presidente del Consiglio scrisse: “Oggi più che mai l’insegnamento che De Gasperi seppe trasmetterci e l’esempio che riuscì a dare alla nostra classe politica ci rende responsabili di fronte al paese; l’attaccamento alle Istituzioni, il senso dello Stato, il rispetto di ogni ideologia, l’accettazione di diverse esperienze che distinsero la sua opera, devono farci meditare ed indicarci la via da seguire”.

Maurizio Eufemi

Bisogna uscire dal ciclo perverso del populismo

Purtroppo i problemi non si risolvono solo indagando sui precursori dei populisti e del movimento del VDay.

 

Ad un acuto e incontrovertibile articolo di Marco Follini sul populismo ha replicato Michele Prospero sul “Riformista” invitandolo a smettere di sognare lo scudo crociato, per consolarsi con il triste epilogo degli eredi di Gramsci in una logica di mal comune mezzo gaudio!

 

Purtroppo i problemi non si risolvono solo indagando sui precursori dei populisti e del movimento del VDay. La lista sarebbe infinita. Sono cambiati gli interpreti, ma lo spartito era sempre l’antiparlamentarismo, esasperato da uno scandalismo senza limiti, fino all’uso di strumenti più sofisticati come quelli referendari e fino al sistema elettorale maggioritario, con sullo sfondo il presidenzialismo.

Poi in questi due lustri abbiamo visto colpito a morte il Parlamento nelle sue funzioni primarie – quelle legislative – dominate dall’Esecutivo, insieme ad una progressiva disarticolazione dei corpi intermedi compresi i Partiti che ne rappresentano la funzione più rilevante.

In nome dell’antiparlamentarismo veniva portata a compimento la demolizione di ogni memoria, utilizzando gli argomenti sulla Casta e della lotta ai privilegi. Sono stati i detonatori per un bombardamento progressivo e conventrizzare Montecitorio e Palazzo Madama. Cosicché oggi la Politica è nuda e chi ha responsabilità di governo o istituzionale non può essere né vaccinato nè tutelato per il furore giacobino imperante. Deve attendere il turno dell’età! È un grave errore, frutto di chi ha assecondato queste pulsioni senza avere il coraggio di fermarle per tempo.

Avverrà per i Cinque Stelle ciò che si registrò con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini nell’immediato secondo dopoguerra quando la incapacità di darsi una qualsiasi struttura organizzativa ne provocò il declino. Purtroppo questa volta non sarà rapido come allora. Non c’è più la Dc! Restano i ricorsi della storia. Siamo passati da un commediografo Giannini ad un comico Grillo. Del resto, la Dc di De Gasperi usò la fermezza delle idee e la forza del Partito.

Ci soccorrono le parole del giovane Aldo Moro che nel settembre del 1945 sull’Osservatorio di Studium, affermava: ”Vorremmo essere benevoli per la politica dell’Uomo Qualunque, la quale non è poi una tattica contingente, ma una forma mentale e un abito di vita decadente (…) L’Uomo Qualunque, per non essere se stesso, è pronto a tutto, così ad accettare qualsiasi dittatura che nasce fatalmente dove al posto della ansiosa libertà dello spirito c’è il vuoto”.

Dunque prima di ogni altra cosa, prima ad esempio della parità di genere, c’è bisogno di riprendere il cacciavite per rimettere a posto gli ingranaggi del sistema, partendo dalla difesa delle Istituzioni e soprattutto dal Parlamento, sede della rappresentanza non solo di genere ma dei valori costituzionali. Il Governo Draghi può essere una utile occasione per ciò che rimane dei partiti e per guardarsi allo specchio, ripensando agli errori compiuti così da affrontare bene le sfide nuove.

 

Maurizio Eufemi - articolo pubblicato sul sito "Il Domani d'Italia"

Lettera aperta a Lucio D’Ubaldo presidente della Associazione Nazionale democratici cristiani in occasione della iniziativa politica per ricordare il 700 anno anniversario di Dante.

 

DANTE... TRA TOGLIATTI E DE GASPERI

Caro Lucio
Ho seguito l’interessante dibattito con Laporta su Dante partendo dalla citazione di Martinazzoli. Mi sono imbattuto - stimolato dalla riflessione odierna di Follini sul qualunquismo - in un discorso di Alcide De Gasperi che pronunció in un convegno dell’Alta Italia della DC il
1 luglio del 1945 a Palazzo Clerici a Milano integrato con quello di Venezia. Era sulle basi dello Stato democratico e la battaglia di domani. Erano i giorni dell’incarico a Parri di formare il nuovo breve governo. De Gasperi nel sottolineare la caratteristica di quella crisi evidenziava la “indissolubile, la indiscussa solidarietà tattica e sostanziale tra socialisti e comunisti” . Aggiungeva “Quando venne posta la candidatura di Nenni sono tutt’uno quando si discuteva sulla assegnazione dei dicasteri socialisti e comunisti si presentavano come due quindi bisognava dividere e assegnare i mandati, tre ai socialisti, tre ai comunisti. “
De Gasperi allora obietta a Togliatti: Ma siete due o uno? Togliatti che sa di letteratura rispose ricordando la frase da testa “ ed eran due in uno e uno in due”
De Gasperi va a controllare la frase dantesca. Si tratta di Bertrando De Born che appare a Dante col capo trovo che egli stesso tiene per le chiome e se lo porta innanzi a guisa di lanterna”


e il capo tronco tenera per le chiome,
di sè faceva a se stesso lanterna,
ed eran due in uno e uno in due:
com’esser può, quei sa che sì governa.
(Inferno, xxvIII)

Poi De Gasperi prosegue chiosando “Com’esser può “ anche oggi lo sa solo il Cielo; ma sarebbe decisivo anche sapere: la lucerna a chi fa la luce? a Nenni o a Togliatti?
questo passaggio dantesco forse  aiuta a riflettere più su De Gasperi che su Dante, sulla sua chiarezza delle posizioni politiche rispetto alla doppiezza, la sua religiosità, l’affidarsi alla Divina Provvidenza.
Dunque anche De Gasperi  possiamo associarlo alle celebrazioni del settimo centenario.
Non so se sono  andato fuori tema. Mi sembra giusto ricordare questo passaggio di una polemica politica del passato aspra ma elegante, forte ma con un linguaggio culturale profondo che va forse recuperato.

Poi De Gasperi al primo congresso della Dc quello celebrato nel 1946 alla città universitaria fa riferimento alla Cappella Sistina e usa l’immagine per illustrare quella immensa sinfonia biblica. “Si direbbe che Michelangelo dipingendo il volto grave del Padre abbia pensato al noto verso dantesco:


Lo Motor primo a lui si volge lieto
Dovrà tant’arte di natura, e spira
Spirito novo, di virtù repleto.

(Purg. XXV)


Se mai avvenisse che in Italia si spegnesse l’idealismo cristiano dovremmo temere che il popolo italiano non comprenderebbe più il suo Dante e il suo Michelangelo e passerebbe dinanzi a questa volta con la stessa freddezza e indifferenza come oggi si passa dinanzi alla storia degli “dei falsi e bugiardi del Belvedere” .
 

Maurizio Eufemi

http://www.ildomaniditalia.eu/dante-tra-togliatti-e-de-gasperi/

Marco Vitali: Il Sud esiste

In un tempo in cui il meridionalismo sembra cancellato dal dibattito politico, leggere il libro di Marco Vitale “il Sud esiste” con la raccolta di scritti e testimonianze offre spunti di meditazione sulle nuove vie da percorrere.
La pandemia nella sua drammaticità ha unificato il Paese - più di quanto appaia - nella lotta al virus superando retaggi ed egoismi diffusi. Cinquanta anni di impegno professionale nel Mezzogiorno come economista di impresa, offrono una lettura disancorata da pregiudizi ideologici.
L’economista lombardo accompagna il lettore in un lungo viaggio sul modello di Guido Piovene, con il racconto di tante storie vissute in prima persona, nel contesto in cui ha operato. È un libro di storia economica con dentro tante storie vissute, studiate, meditate, ragionate prima di pervenire alla definizione del piano di impresa che si scontra con il contesto socioeconomico di Regioni e di Comuni. Sono storie di agricoltura, di distretti agroalimentari o industriali, di trasporti, di porti e di aeroporti.
Pur partendo da lontano l’economista bresciano nel filo rosso che lega i suoi racconti, si muove con convinzioni profonde maturate nella vita quotidiana, ma ancorate a letture profonde. Così ritroviamo il livornese Leopoldo Franchetti, con le sue considerazioni sulla Sicilia, con le sue lotte all’analfabetismo, il bresciano Giuseppe Zanardelli, primo presidente del Consiglio a scendere di persona in Basilicata, attraversando il fiume Agri su carri agricoli trainati da buoi, l’inglese Norman Douglas con i suoi straordinari racconti sulla Vecchia Calabria. E troviamo anche l’ancoraggio teorico di molte convinzioni ad un libro recente di Daron Acemoglu e James Robinson rispettivamente del Mit e di Harvard sul “Perché le Nazioni falliscono. Alle origini di prosperità , potenza e povertà” . L’attualità della questione meridionale viene posta nella contrapposizione tra circuito virtuoso e circuito vizioso e tra prosperità e povertà in un gioco di specchi tra élite minacciose e persistenti.


Leopoldo Franchetti fu anche fondatore insieme a Giustino Fortunato dell’Animi, la prestigiosa Associazione ora guidata da Gerardo Bianco, che per prima sollevó la questione meridionale coinvolgendo i maggiori esponenti della cultura da Salvemini a Benedetto Croce, da Zanotti Bianco a Rosario Romeo e Manlio Rossi Doria.
Marco Vitale ci racconta del polo farmaceutico di Latina, Pomezia, Aprilia con gli investimenti di Pzizer e di altre aziende attratti da generosi contributi statali fiscali e finanziari della Cassa per il Mezzogiorno i cui confini si fermavano alle porte di Roma, ma determinarono un fiorire di imprese lungo l’autosole compresa l’area di Cassino e Frosinone. Crearono di certo sviluppo e occupazione e migliori standard di vita.
Erano di certo investimenti americani gestiti da troppo lontano con il supporto di manager pendolari che nella sociologia rurale facevano il paio con gli operai-contadini marchigiani e abruzzesi. Ci racconta delle porcellane tedesche a Teramo con la tedesca Villeroy & Boch che rileva due moderne fabbriche di piastrelle e sanitari con il disinteresse delle autorità locali rispetto all’entusiasmo del governatore di Detroit di fronte ad un investimento di una fabbrica veneta di minore dimensione nel ricco Michigan.
Illuminante è la storia dei 15 faldoni relativi alla operazione terminal container di Gioia Tauro della Contship di Angelo Ravano una storia di successo che si scontrava con le resistenze endemiche fino al punto che un Ministro di sinistra manifestó la sua contrarietà al collegamento ferroviario con il terminal di Gioia Tauro per comprimerne le potenzialità di sviluppo!
Ci racconta del caseificio di Corleone, dell’aeroporto di Comiso del rione Sanità e delle catacombe di Napoli e molto altro.
Sullo sfondo emerge con forza il pensiero sturziano sui temi sociali, politici, istituzionali e morali, racchiuso in alcune massime: “servire, non servirsi” come pure “il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno” ovvero “non vale la pena istituire la Regione per fare un copione della inabilità amministrativa dello Stato italiano” .
Marco Vitale non nasconde il suo modello di riferimento in Carlo Cattaneo con la convinzione profonda che lo sviluppo non è frutto del capitale, ma è soprattutto frutto della intelligenza, della conoscenza, della volontà, della autonomia, delle buone istituzioni.

Maurizio Eufemi - articolo pubblicato sul sito "Il Domani d'Italia"

http://www.ildomaniditalia.eu/marco-vitale-racconta-la-vitalita-del-meridione/

Là dove nacque la Costituzione Italiana: La Comunità del Porcellino: La Pira, Dossetti, Fanfani... e tanti altri. Un esempio da rivalutare.

 

La casa delle sorelle Portoghesi in via della Chiesa Nuova 14 a Roma, è stato uno dei cenacoli più straordinari d’Itala del dopoguerra:la cosiddetta “comunità del porcellino”.

Tra gli anni ’40 e ’50,il periodo delle grandi speranze della neonata repubblica, alcuni dei massimi rappresentanti del cattolicesimo politico italiano,trovarono qui una calorosa accoglienza. Nell’appartamento delle sorelle Portoghesi transitarono molti protagonisti dell’irripetibile stagione dell’Assemblea Costituente:da Giuseppe Dossetti, vicesegretario della D.C., a Giuseppe Lazzati, futuro Rettore dell’universita cattolica di Milano; da Giorgio La Pira futuro sindaco di Firenze, ad Amintore Fanfani. Nella Comunità si poteva passare per mangiare un piatto di paste e fagioli, essere ospitati a lungo, programmare, dissentire, proporre, discutere.

E FARE LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA!!

Ma in quell’appartamento, in quella vicenda vi era un particolare legame Emiliano perchè la figura centrale di tutto fu certamente Giuseppe Dossetti, ma a quella comunità si legarono anche altri come Paolo Prodi, futuro Rettore dell’università di Trento e fratello del piu celebre Romano, Piero Morselli, allora giovane reduce di guerra, passato dalla tragica esperienza dei campi di concentramento tedeschi, impegnato a Reggio Emilia nel primo dopoguerra in consiglio comunale prima e provinciale poi e chiamato a Roma proprio da Dossetti a far parte del suo staff nella vicesegreteria nazionale della Democrazia Cristiana, infine esponente di spicco del movimento cooperativo, infine Iolanda Armani, cuoca tuttofare della casa reggiana anche lei, mandata da Ines Dossetti, mamma di Giuseppe, in aiuto alle sorelle Portoghesi nella gestione della casa.

Attraverso quella straordinaria avventura umana,politica, legislativa e istituzionale di quel gruppo di persone che nei primissimi anni del dopoguerra, anni in cui in trattoria si mangiava maluccio e gli alloggi erano scarsi, si ritrovarono ospiti delle sorelle Pia e Laura Portoghesi in due appartamenti al civico 14 di via della Chiesa Nuova a ridosso di Corso Vittorio Emanuele II nel cuore della Roma barocca.

Ma perchè quel gruppetto di persone si diede il nome di comunità del “porcellino”? L’Italia appena uscita malconcia da una guerra perduta era in condizioni disastrose; un bracciante polesano pagato 11 mila lire al mese, doveva lavorare dodici ore per comprare una dozzina di uova; un operaio milanese 6; un impiegato 4: Noto l’episodio raccontato dallo scrittore Gesualdo Bufalino che raccontava come una vicina di casa avesse tolto il saluto a sua madre accusandola di averle restituito un uovo più piccolo di quello preso in prestito!

Sui giornali campeggiava la pubblicità dell'”Ovomaltina”, con un uovo umanizzato che sedeva su un trono , con una corona regale in testa: ”Il signor Uovo è diventato ricco a forza di essere caro e guarda tutti dall’alto in basso:evitate uova e usate Ovomaltina!”

Anche in casa delle sorelle Portoghesi si mangiavano abbondanti minestre, poca carne, molte patate. E quando l’allora Presidente dell’Azione Cattolica prof.Vittorino Veronese si presentò con un bel porcellino farcito, sembrò a tutti un apparizione.Che si combinò con il tormentone di Laura Bianchini, prima ospite della casa, bresciana d’origine, partigiana, deputata della D.C. alla Costituente, donna di modi spicci con un carattere montanaro che quando perdeva le staffe etichettava i suoi interlocutori e soprattutto i suoi commensali con l’epiteto “TU SEI UN PORCO!”. Detto fatto la comunità fu ufficialmente costituita con tanto di pergamena controfirmata da padre Caresana in qualità di “notaio”. E la programmazione di una festa per celebrare l’avvenimento con un invito giuridicamente barocco che diceva :”Alle ore 21 del giorno 11 giugno 1947, tutti li abitanti onorevoli o no,di via della Chiesa Nuova 14 piani I e piano IV et loro eventuali et gradevoli amici, trovar debbonsi alli festeggiamenti che terransi nei saloni…”

Quella casa non fu soltanto la fisica abitazione di Laura Bianchini, Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Angela Gotelli, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, ma soprattutto il luogo in cui queste persone dettero vita ad una comunità fraterna ed operosa, la “COMUNITA’ DEL PORCELLINO” che costituì il crogiuolo dello spirito e delle idee che essi portarono nell’Assemblea Costituente. Inoltre c’era un idea del BENE COMUNE e della necessità di cercare, cercare ed ancora cercare sempre una sintesi, perchè la politica non si fa con slogan, emozioni, paure, ma con una sintesi del pensiero di ciascuno che abbia il senso della cittadinanza. Senza rimuovere il proprio passato, le proprie idee, la propria cultura, le proprie aspirazioni, ma cercando sempre e comunque una sintesi. Basti pensare a come Fanfani e Lazzati fossero provenienti da esperienze molto diverse, opposte!:il primo travolto quando era un giovane professore da una “sbandata” fascista e si era spinto a scrivere che:”Per l’Italia l’impero non è un lusso, ma il necessario completamento delle nostre possibilità”. Il secondo per aver rifiutato il giuramento alla Repubblica Sociale Italiana, era stato internato nei lager nazisti. Con i criteri della politica di oggi avrebbero dovuto scannarsi e non lo fecero. Anzi. Cercarono al contrario insieme a tutti gli altri, così diversi l’uno dall’altro, di trovare sempre punti in comune.

Una lezione di politica, di sobrietà e di dedizione istituzionale straordinaria una lezione di vita oggi inesistente nella politica attuale forse perchè manca il prerequisito: IL PENSIERO!

Anzi mi viene in mente a proposito dell’immagine tenera e pura del Porcellino di casa Portoghesi che sia attuale il sarcasmo di Carlo Alberto Salustri, in arte TRILUSSA:

 

“La vorpe, ner compone un ministero chiamò tutte le bestie meno er porco:un portafojo a quello? Ah no davero, dice, Nun ce lo vojo: E’ troppo sporco.E difatti pr’ io lo stimo poco, je disse er cane, e nun je do importanza: ma un majale ar governo po fà gioco p’avè l’appoggio de la maggioranza!”

 

Prof. Giulio ALFANO – Presidente Istituto Mounier – Italia

Articolo tratto dal sito dell'Istituto Mounier.

Il mio ricordo di Ombretta Fumagalli Carulli

Affrontó il problema del debito dei paesi del terzo mondo portando all’Onu il grande tema della giustizia sociale

Ho conosciuto Ombretta Fumagalli Carulli fin dal 1987 quando fece il suo ingresso a Montecitorio nella decima legislatura dopo il mandato parlamentare al consiglio Superiore della Magistratura.
Entró in Parlamento nel pieno della maturità con un forte bagaglio di esperienza professionale.

Era docente di diritto canonico alla Universita Cattolica. Eppure in quella sua prima legislatura fu impegnata nel duro lavoro istruttorio delle Commissioni: dalla Giustizia alla Giunta delle Autorizzazioni a procedere per finire alla Commissione Antimafia guidata da Gerardo Chiaromonte. E non mancó di manifestare nelle sedi interne le sue forti preoccupazioni rispetto ai tentativi palesi ed occulti di criminalizzare la storia della Dc associandola a connivenze con la mafia. Un giorno, in una riunione interna espresse una posizione dura, durissima come sanno fare le donne forti dei loro convincimenti, anche scontrandosi con uomini e donne del suo stesso partito. Si avvalse della collaborazione femminile di Fiorella Pellegrini che aveva una grandissima esperienza maturata con Amos Zanibelli per tanto tempo Vicepresidente del gruppo Dc. Quindi un tandem al femminile molto solido e determinato.

Dunque nella Dc prima si maturava nell’esercizio delle funzioni parlamentari, poi si veniva catapultati in funzioni di governo. Questa era la regola che premiava il lavoro parlamentare.

Non proprio come oggi dove assistiamo alla investitura di personaggi collocati in posti di responsabilità di governo senza alcuna esperienza e conoscenza professionale.

Poi Ombretta verrà la chiamata al Governo, prima in quello Ciampi al Dicastero delle Poste, poi alla Protezione Civile nel governo D’Alema dove portò innovazione e modernità, quindi alla sanità nel governo Amato due.

Mi piace ricordare il suo forte impegno per l’Intergruppo parlamentare che partito nel 1998 in occasione del ventennale del pontificato di Papa Wojtyla, in occasione del giubileo del 2000 determinò la costituzione di cinquanta intergruppi di cinque continenti. In 7.000 saranno in Vaticano nel segno di Thomas Moore per il Giubileo dei rappresentanti del popolo.

Poi l’Intergruppo affrontó il problema del debito dei paesi del terzo mondo portando all’Onu il grande tema della giustizia sociale e del dialogo tra i popoli. Era una questione affrontata scientificamente dal grande economista Luigi Pasinetti fin negli anni ottanta.
È anche il segno della forza della cultura cattolica e della Cattolica che sa guardare ai problemi planetari privilegiando il bene comune agli egoismi.

Maurizio Eufemi

Articolo di Maurizio Eufemi pubblicato sul giornale online "Il Domani d'Italia"

Assemblea Associazione democratici cristiani

 

Mercoledì scorso 10 marzo si è tenuta l’Assemblea della Associazione democratici cristiani fondata nel 1999 da Carlo Alberto Ciocci. 

Ho svolto una relazione sullo stato della situazione politica, sulle iniziative svolte durante la mia presidenza che consideravo di transizione e rassegnando le dimissioni per ragioni strettamente familiari ho proposto che l’amico Lucio D’Ubaldo fosse eletto in mia sostituzione. Tutti i soci sia in presenza che per delega hanno alla unanimità convenuto sulla mia proposta. 

Di questo sono particolarmente felice perché passo il testimone ad un amico capace di svolgere con passione e competenza quel ruolo culturale che l’associazione si propone nelle sue finalità statutarie. 


Lucio D’Ubaldo, anche come direttore della testata "il domaniditalia" sarà altresì in grado di garantire la continuità della azione politica salvaguardando la testata proseguendo nella difesa dei valori e della nostra storia. Potranno essere altresì cooptate nuove figure e personaggi per rilanciare la azione politica. 

Da parte mia continuerò ad essere vicino con un impegno culturale così come ho sempre fatto. 

C’è anche un collegamento tra il nuovo Presidente Lucio e il fondatore Carlo Alberto  e sta nelle responsabilità che entrambi hanno avuto a diversi livelli nel comune di Roma. 

 

La scomparsa di Franco Marini

Voglio ricordare Franco Marini con questa foto del luglio 2013 quando alla Sala del Cenacolo in Palazzo Valdina abbiamo celebrato con Bartolo Ciccardini, Gerardo Bianco, Roberto Mazzotta in una sinergia tra Istituto Sturzo e Associazione Nazionale Partigiani Cristiani il settantesimo del Codice di Camaldoli. Era lì a testimoniare la sua Fede nei principi ricostruttivi dei democratici cristiani.
Potrei aggiungere tanti altri ricordi privati e pubblici che affondano negli anni settanta e ottanta  del sindacalismo, poi in quello parlamentare e ministeriale. Infine quelli  più intensi di collaborazione nell’Ufficio di Presidenza quando Franco Marini rivestiva la alta funzione di presidente del Senato.

Dal Governo Ciampi al Governo Draghi

Il quadro politico attuale è profondamente diverso

 

Si fa un paragone improprio quando si accosta il governo Ciampi con quello in formazione di Mario Draghi.

Il Governo Ciampi del 1993 ottenne alla Camera 309 voti favorevoli , 185 astenuti e 60 contrari. Per la nascita del Governo Ciampi fu determinante il ruolo della Dc che non abdicó alle sue responsabilità di partito di governo ponendo al centro della azione politica, il rigore nei conti pubblici per recuperare fiducia e credibilità, una politica dei redditi con il concorso dei sindacati e delle imprese. Ciampi fu proposto al Presidente della Repubblica Scalfaro da Martinazzoli su indicazione del capogruppo Bianco come ha testimoniato lo stesso Martinazzoli nel suo libro memorialistico.

Non mancarono con Ciampi momenti di vedute significativamente diverse come alcune scelte sulle privatizzazioni e in particolare sulle public company.
Il quadro politico attuale è profondamente diverso.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo il fallimento della esplorazione del Presidente della Camera sulla riproposizione di un Conte ter, si è assunto la responsabilità di affidare l’incarico a Draghi, per il suo prestigio internazionale, al fine di formare un governo di salvezza nazionale, partendo dalla assenza di una base parlamentare che dovrà essere costruita con la forza di Draghi, del suo programma, della sua credibilità .
Non vediamo oggi una forza politica che si assuma quel gravoso onere che ebbe con coraggio e determinazione la Dc.

Si stanno infatti smarrendo su questioni minori e pregiudiziali politiche piuttosto che affrontare i tre grandi obiettivi indicati da Mattarella.
Il Presidente incaricato Mario Draghi supererà agevolmente la difficile prova perché tutte le forze politiche sono senza via d’uscita. Assisteremo a turbolenze in tutte le forze politiche; si determineranno scissioni e ricomposizioni perché è in gioco il futuro del Paese che non può essere affidato a dilettanti. Le risorse europee richiedono programmi, valutazioni idonee, piani esecutivi controlli stringenti.
Il Paese guarda con fiducia alla nuova fase che rimuove equilibri più avanzati, quelli si legati ad una visione demartiniana, non legittimati dal voto popolare che hanno portato ad uno spreco assistenzialista riponendo al contrario la necessaria attenzione a rideterminare le condizioni per lo sviluppo del Paese.

 

Maurizio Eufemi

Articolo di Maurizio Eufemi pubblicato sul giornale online "Il Domani d'Italia"

L’esploratore

Il mandato esplorativo si avvia alla conclusione dopo quattro giorni di “confessioni” e di riunioni collegiali. La location è stata ambientata al piano nobile di Montecitorio con Biblioteca del Presidente, Sala della Lupa e Sala della Regina utilizzate dall’esploratore per dipanare il filo della crisi e portare al Quirinale una difficile ricomposizione della maggioranza.
Si sono intrecciati temi impropri come il contratto di programma che spetterebbero al Presidente del Consiglio incaricato e la struttura del governo che è stata trattata in un tavolo parallelo a livello di partiti anziché di gruppi parlamentari.
Sono stati adottati accorgimenti per salvare la forma con l’esploratore che appare e scompare nella collegiale e un programma che diventa un verbale!
Può bastare tutto ciò per superare i contrasti sulla governance del Recovery, sulla inadeguatezza della composizione del governo, sui veti e controveti, sulla riduzione dei superpoteri paralleli, sulla rimozione delle cause della crisi?
Crediamo di no. Ecco perché il Conte ter è difficile che possa vedere la luce dopo il mandato al l’esploratore, ma solo dopo un incarico formale in cui le trattative tornino nella sede del piano dell’Aula di Montecitorio.
Non è allora il problema del rigoroso rispetto delle procedure costituzionali quanto la necessità di passare da una accentuata fase mediatica ad un concreta volontà di affrontare le ragioni della crisi che richiedono riserbo, disponibilità e serietà.

Il gruppo marmellata

 

Nonostante il buco di 14 miliardi sul Recovery plan l’argomento del giorno è la Costituzione di un gruppo marmellata con 4 sigle di fuorusciti da destra e sinistra con l’aggiunta di prestiti da sinistra.
Emerge che questo gruppo è guidato da un senatore Merlo sottosegretario agli Esteri che usa la Farnesina per riunioni di partito. Questo stesso Merlo è quello  che si è contraddistinto nel marzo scorso per i ritardi nel ritorno dei nostri connazionali bloccati in Argentina.
Questo stesso Merlo dovrebbe decidere sulle nostre scelte di investimento con le relative condizionalitá e sulle nostre tasse compresa la riforma del catasto, lui che è eletto in Argentina e li dovrebbe pagare le imposte certamente diverse dalle nostre imposte tasse e addizionali varie ?
E lo scontro di questo gruppo marmellata di 10 persone di cui 4 gruppetti è un prestito verteva sulla sigla perché alla sen Lonardo moglievdi Mastella è stato impedito di inserire la figlia del suo partitino campano.
Tutto era ed è finalizzato ad avere il riconoscimento giuridico che i gruppi parlamentari costituiti nei due rami del Parlamento di potersi presentare alle prossime elezioni politiche senza raccogliere le firme!
Dunque il pacco e il contropacco!
Questa è la miseria della giornata di ieri.
Altro che Ricovery plan. !
Altro che europeismo di fuorusciti che fino a ieri demonizzavano l’Europa!
E si eviti di macchiare una parola nobile come il centro democratico che ci riporta alla nobiltà degasperiana, con lo squallore di questi giorni!

Ps centro democratico oggi è il partitino di Tabacci, era la formula governativa con cui De Gasperi varó alla Assemblea Costituente il 19 dicembre 1947 il
Suo governo con PRI e Psli per un allargamento della base ministeriale alle forze di democrazia socialista e della tradizione repubblicana, nominando Saragat e Pacciardi vicepresidenti del Consiglio Facchinetti ministro della Difesa e Tremelloni ministro dell’Industria.

Mediobanca nello sviluppo del Paese.

Ieri è stato presentato il volume dello storico economico Giovanni Farese “Mediobanca e le relazioni internazionali dell’Italia” sulla internazionalizzazione dell’istituto di credito fra il 1944 e il 1971, dunque per tutto il periodo della ricostruzione e del miracolo economico.

Ne hanno discusso, dopo il saluto del Ministro dell’Università Manfredi, Giorgio La Malfa, Sabino Cassese, Valerio Castronuovo, Sergio Romano.

Un parterre di grande qualità e competenze che a vario titolo ha vissuto quegli anni e ha consentito di arricchire il dibattito con ricordi ed esperienze personali. Con questo libro si prosegue l’azione di divulgazione di Mediobanca aprendo gli archivi alla conoscenza di fatti determinanti per le scelte economiche del Paese. Sono emerse le caratteristiche di un gruppo finanziario, coeso, con una forte rete diplomatica, proteso alla internazionalizzazione non solo come maggiore capitalizzazione, ma come arricchimento di esperienze manageriali, con un alto concetto dello Stato, con un interesse per il Mezzogiorno, l’attenzione al vincolo esterno, lo sguardo all’Africa e alle sue potenzialità di sviluppo, con scelte che favorivano tutto il sistema industriale, dal settore energetico a quello automobilismo, a quello della infrastrutturazione come la diga sullo Zambesi e le vie di comunicazioni verso il porto di Dar es Salaam nel contesto di raffinerie e attività portuali.

La linea guida era di “capire le imprese studiando i bilanci”.
Mediobanca è stato il luogo del sindacato di controllo dei grandi gruppi privati ma anche il collo di bottiglia delle grandi operazioni pubbliche e private.
Tutto ciò guardando ai principi di una economia di mercato piuttosto che ad una economia pianificata, all’interesse pubblico, allo Stato Regolatore e non alla deriva di uno Stato imprenditore che accentua i salvataggi e perde di vista l’economicità di gestione come purtroppo avverrà sul finire degli anni settanta e nel successivo decennio, con l’Iri come conglomerata che non poteva sopportare il peso delle perdite di alcuni comparti industriali.
Nel dibattito il grande assente è stato il ruolo della politica. Potrebbe essere un merito nascosto quello di avere avuto rispetto per l’Istituzione Mediobanca interloquendo prevalentemente in modo corretto con la Autorità di vigilanza, la Istituzione Banca D’Italia come dimostrano i rapporti De Gasperi, Einaudi e Menichella. È stato opportunamente sottolineato il rapporto distaccato del Gruppo con il regime fascista e soprattutto l’opportunismo mussoliniano nel concedere spazio senza interferire guardando ai vantaggi generali. Cuccia “avversó il regime senza farne postumo sfoggio” scrisse recentemente Vincenzo Maranghi.
Se c’è un rammarico in quanto ascoltato ieri è stato nel non vedere adeguatamente evidenziato il ruolo fondamentale dell’Iri attraverso le le Bin (Credit Comit e Banco di Roma) le tre banche di interesse nazionale presenti nel capitale, nel patto di sindacato, con quote maggioritarie e fondamentali nel fornire i mezzi finanziari nelle operazioni di raccolta del risparmio e di valorizzazione del risparmio a medio e lungo termine. Così come il fondamentale legame tra politica industriale e politica fiscale per determinare il successo di politiche di sviluppo. Come non ricordare il successo dei certificati di deposito di Mediobanca nella raccolta per favorire impieghi produttivi.
È sufficiente scorrere l’elenco degli amministratori di Mediobanca fino al 1982 nel volume dedicato a Cuccia con le sue relazioni al Bilancio per trovare Saraceno, Ventriglia, Stammati, Barone, Guidi, Alessandrini, Ferrari Aggradi. Per non parlare di Giordano dell’Amore o Massimo Spada ex Ior dal 1950 al 1975.
L’internazionalizzazione è stata possibile per le non facili scelte europeiste del dopoguerra che furono politiche e non erano scontate. Luigi Einaudi nel 1897 aveva scritto su La Stampa un articolo per gli Stati Uniti di Europa! Era un europeismo in chiave transatlantica anche per le remore postbelliche di Regno Unito e Francia verso il nostro paese stringendo la nostra azione.
Il progressivo spostamento di attenzione dalle grandi imprese alle medie imprese era in linea con la evoluzione del sistema economico che richiedeva risposte nuove così come trovavano anticipazione seppure limitata strumenti come il venture capital joint venture e l’attivitá di merchant banking.
Poi naturalmente, come è ovvio che fosse, lo sguardo è stato rivolto alla attualità, alla assenza di una politica industriale, la caduta delle grandi imprese nella struttura produttiva, alla perdita di posizioni nello scacchiere internazionale, dall’Africa al Medio Oriente dal Corno d’Africa fino a Mare Nostrum, ma soprattutto alle grandi capacità e conoscenze di uomini di valore che ponevano al primo punto l’interesse pubblico.

Maurizio Eufemi
 

Articolo di Maurizio Eufemi pubblicato sul giornale online "Il Domani d'Italia"

La governance e il Recovery Plan

Il punto ancora scoperto del Recovery Plan è la governance!
Cancellata quella iniziale che cristallizzava tutto il potere a Palazzo Chigi esautorando il
ministro dell’Economia, ancora non sappiamo quale direzione si vorrà prendere.
Potrebbe essere quella della delega alla Ricostruzione come nel Governo Parri con Enesto Rossi sottosegretario da luglio a dicembre del 1945 e nel Primo De Gasperi con il Ministero che fu affidato a Ugo La Malfa, da dicembre del 1945 a luglio 1946, non proprio un dilettante come dimostrerà la sua storia personale e politica. De Gasperi seguiva da vicino i dossier economici e finanziari anche per superare le valutazioni non concordanti tra Pella e Vanoni. Per coordinare la politica economica e finanziaria aveva rilanciato il CIR comitato interministeriale per la Ricostruzione nominandone segretario generale Mario Ferrari Aggradi! De Gasperi aveva l’umiltà di farsi dare lezioni di economia da Mario Ferrari Aggradi come ha ricordato Giorgio Tupini nelle sue testimonianze.
Oppure c’è la strada del Cipe comitato interministeriale della Programmazione economica ora diventato anche per lo sviluppo Sostenibile oppure del Cipi comitato interministeriale programmazione industriale che fu istituito con la legge 675 del 1977 per la riconversione industriale, soppressò nel 1993 con la legge 537.
I modelli non mancano.
Importante è fare una scelta in cui sono chiare e trasparenti le responsabilitá verso il Parlamento evitando la proliferazione di Authority che sfuggono a qualsiasi controllo.
I cosiddetti costruttori dovrebbero prendere esempio dai veri ricostruttori del dopoguerra.

Roma, 16 gennaio 2021

De Gasperi ha dato molto all'Italia

 

Il confronto Ortolina-Tarquinio, riproposto ieri da “Il Domani d’Italia”, sulle affermazioni di Gramellini a proposito di De Gasperi “uomo di destra liberale”, offre notevoli spunti di riflessione. Per De Gasperi parla la storia, anche quella “parlata”, nel senso di testimonianze orali e scritte.

Ne ho ritrovata una che Andreotti pronunciò a Milano, in occasione dei cinquant’anni dal decesso, per il ciclo delle iniziative della Fondazione De Gasperi. Andreotti metteva in evidenza lo stretto collegamento tra politica estera e politica interna nell’opera dello statista trentino. Fondamentale la concezione di un Patto Atlantico collegata alla costruzione dell’Unione Europea, superando le resistenze di ambienti cattolici contrari a patti militari grazie al colloquio dell’ambasciatore Tarchiani, azionista, non uno “della nostra parrocchia”, con Pio XII.

Poi il riformismo, con una socialità vera e concreta, con iniziative sociali come la riforma fondiaria, spezzando il latifondo, e la Cassa per il Mezzogiorno, per superare i divari nord-sud, tutte cose che toccavano grandi interessi. Se ne ebbe prova con il calo di voti nel 1953. Non va dimenticato, a tale proposito, il ruolo degli agrari nell’avvento del fascismo.
Inoltre aggiungiamo il metodo democratico, nel significato più proprio, ovvero come metodo incentrato sul criterio che le regole non possono essere aggirate. Il concetto di De Gasperi era quello presente nella Bibbia: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”.

Va detto con chiarezza che De Gasperi respinse sempre le spinte della destra, non propriamente malagodiana, ma più ben più accentuata e aggressiva. Respinse anche le suggestioni antidemocratiche di alcune strutture dello Stato che temevano di non riuscire a fronteggiare i comunisti con mezzi ordinari. C’era il cruccio del 1922, quando si produsse inusitatamente la sconfitta del metodo democratico proprio perché in tanti si erano illusi di potere far cadere il governo in Parlamento dopo la Marcia su Roma.
De Gasperi, uomo delle coalizioni, fu abbandonato dai suoi alleati – da Saragat e dagli altri – nelle elezioni del 1953. E quando fece un estremo tentativo di ricomporre il quadripartito, chiedendo ai monarchici una non belligeranza sotto forma di astensione, la risposta fu No. Andreotti riporta un giudizio di Achille Lauro su De Gasperi: “È veramente ‘sta persona così importante? Ma è uno che ha più di 70 anni e non ha una lira?”. Un giudizio incongruo, senza dubbio, che a tutti sembrò il modo migliore di elogiare la personalità di De Gasperi.

Vorrei concludere con una bella frase di Giorgio Rumi, storico cattolico di affinato ingegno, sull’uomo della Ricostruzione: “De Gasperi era il presidente del Consiglio di tutti, compresi i liberali, gli azionisti, i socialisti, i comunisti, con un senso di uomo di tutti, di uomo che ha tale funzione, in cui il partito, la fazione, la corrente, il raggruppamento ecclesiale non vincono mai su questa signoria della coscienza, senza paraventi e difese se non la dignità”. È un grande insegnamento di cui possiamo e dobbiamo far tesoro ai giorni nostri.

Articolo di Maurizio Eufemi pubblicato sul giornale online "Il Domani d'Italia" 

 

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